255 – Breve storia della nascita e del tramonto dell’antigiudaismo cristiano (21.06.09)

Il pensiero della settimana, n. 255 

 

Il  punto di partenza non può essere  che questo:  lungo tutta la loro storia i cristiani non hanno mai potuto ignorare gli ebrei. Questa situazione ha due conseguenze principali: la  prima è che  il pendolo del rapporto cristiano-ebraico può oscillare dall’estremo della simpatia a quello dell’ostilità, ma non può mai fermarsi sull’indifferenza; secondo che i cristiani, da moltissimi secoli, hanno avuto una propria visione degli ebrei che corrisponde  solo in piccola parte (o non corrisponde affatto) a quella che gli ebrei hanno di loro stessi. Vale a dire nella storia non c’è quasi mai stato quanto oggi è considerata la base per un vero dialogo: l’ascolto dell’altro.

Dobbiamo ora porci una seconda domanda: quando cominciarono a esistere i cristiani?  La risposta è meno facile di quanto sembra. Da più di un secolo vi è un detto, accettato quasi da tutti,  secondo cui Gesù era un ebreo e non un cristiano. Egli fu circonciso a otto giorni;  andava in sinagoga o al tempio (e non in chiesa), leggeva la Torah e i Profeti e non i Vangeli, conosceva Gerusalemme, ma ignorava Roma. In breve, Gesù visse in tutto e per tutto come un ebreo del suo tempo. Perché allora i suoi primi seguaci si trasformarono in cristiani? In realtà, neppure essi divennero cristiani se con questa parola si indica chi non è più ebreo. In effetti, i primi discepoli di Gesù non solo erano tutti ebrei, ma erano convinti di dover credere in Gesù Cristo, il messia d’Israele, proprio perché ebrei. La Chiesa è quindi stata fondata da ebrei che non hanno mai cessato di essere tali.

Avvennero però due fatti decisivi: il primo è che solo una piccola parte degli ebrei credette che Gesù fosse il messia; il secondo è che alcuni dei discepoli giudicarono che,  dopo la morte e  resurrezione di Gesù, fosse giunto il tempo di  annunciare la «buona novella» anche alle genti (gojim, cioè ai non ebrei). Si  costituirono così delle comunità formate da credenti che provenivano tanto dagli ebrei quanto dai gentili. L’insieme di questi due fattori originò una duplice polemica: da un lato alcuni ebrei disputavano con altri ebrei se Gesù fosse il Cristo, mentre, dall’altro, dentro la Chiesa sorse il problema di come affermare il senso della comunione tra tutti i credenti  quando vi erano dei precetti particolari (a iniziare dalla circoncisione) rivelati da Dio che distinguono gli ebrei dai gojim. Quest’ultimo dibattito condusse Paolo e altri credenti a relativizzare i precetti della Torah, senza per questo poter far a meno di riferirsi alle Scritture di Israele (la Bibbia ebraica), sempre considerata un fondamento irrinunciabile della fede. A quel tempo, cioè quando  sorsero gli scritti destinati a formare il Nuovo Testamento, vi  furono polemiche anche aspre, ma nessuno riteneva ancora che la Chiesa potesse prendere il posto di Israele.

Le cose cominciarono a mutare a partire dal II secolo, quando, da un lato, le Chiese furono composte sempre più da credenti di origine gentilica, mentre dall’altro il mondo ebraico elaborò il sistema religioso, di solito chiamato giudaismo rabbinico, che, in seguito, avrebbe trovato il suo simbolo maggiore nel Talmud. Si formarono in tal modo due mondi paralleli, uno dei quali, quello cristiano, aveva bisogno per definirsi di confrontarsi con le Scritture d’Israele, mentre l’altro, quello rabbinico, si affidava a documenti solo propri  (Torah scritta e Torah orale). In questa situazione la risposta cristiana si sviluppò su per giù così: Gesù Cristo è il messia, a provarlo sono proprio le Scritture d’Israele che vanno interpretate in modo giusto, cioè in maniera spirituale. Noi le leggiamo proprio così, mentre gli ebrei le prendono alla lettera e non le comprendono. Perciò rivolgendosi agli ebrei (veri o immaginari) i cristiani cominciarono a dire: «la Bibbia ebraica è una Scrittura nostra non vostra, perché noi la leggiamo e la capiamo, mentre voi non la capite». La Bibbia ebraica divenne perciò Antico Testamento letto alla luce del Nuovo, cioè di Gesù Cristo. La Chiesa si proclamò allora il vero Israele che prende il posto dell’Antico (teologia della sostituzione).

Quando furono elaborati questi pensieri, il potere dell’Impero romano non era in mano ai cristiani, anzi essi, periodicamente, erano perseguitati e non godevano neppure dello status di religio licita attribuita all’ebraismo. Perciò i cristiani a quel tempo non potevano dire: «la storia ci dà ragione, mentre dà torto agli ebrei». Tanto meno erano nelle condizioni  di influire sulla legislazione pubblica per influenzarla in senso antigiudaico. La situazione mutò nel IV sec. a partire da Costantino e soprattutto da Teodosio quando il cristianesimo divenne religione di stato. Allora cominciò a fare la sua comparsa quell’insieme di riferimenti che avrebbero dominato per molti secoli i modi in cui i cristiani guardarono agli ebrei.  Lo si può ricondurre a una formula: gli ebrei sono il «popolo testimone». Testimone di che? I cristiani rispondevano: «della iniquità loro e della verità nostra». Gli ebrei perciò vennero a essere qualificati innanzitutto dall’aggettivo latino «perfidi», che vuol dire non «cattivissimi», ma «senza fede». Gli ebrei erano in blocco colpevoli di non aver avuto fede in Gesù Cristo, perché erano un «popolo carnale» legato alla lettera e non allo spirito. In epoca successiva a questa prima accusa se ne aggiunge, soprattutto a livello popolare, una seconda: quella di «deicidio». Gli ebrei divennero in tal modo gli uccisori del Figlio di Dio. Per questo Dio li ha puniti facendo distruggere dai Romani il tempio di Gerusalemme e disperdendoli ai quattro angoli della terra.  La mancanza di culto e l’esilio ebraici rendono testimonianza alla giustizia di Dio che opera nella storia. Essi perciò dovevano vivere come una minoranza umiliata e discriminata all’interno della società cristiana. Per quanto, dal punto di vista storico, la sua esistenza sia stata relativamente breve (XVI-XIX sec.), il ghetto è diventato un simbolo generale, proprio perché è l’istituzione che ha incarnato meglio tali principi.

Accanto a questa testimonianza compiuta attraverso la punizione, ve ne era un’altra, quella che rendeva gli ebrei garanzia del fatto che i libri dell’Antico Testamento che davano ragione ai cristiani non erano stati inventati da questi ultimi. Il popolo ebraico ora non è più eletto, ma un tempo certo fu tale; non a caso è stato lui ad avere avuto e custodito la rivelazione biblica. In quella visione era contenuto un paradosso: Gesù è venuto per espiare attraverso la sua morte in croce i peccati del mondo, tuttavia appunto quella morte è stata causa del peccato ebraico. Questa situazione ha in sé dei tratti contraddittori: Gesù Cristo, il Signore di tutti, non è riconosciuto proprio dal suo popolo. Molti motivi perciò inducevano ad affermare che questo scompenso doveva essere sanato; ma siccome  la punizione degli ebrei è garanzia della giustizia di Dio nella storia, la soluzione del problema coinciderà per forza con la fine dei tempi. Conclusione: quando tutti gli ebrei si convertiranno, si faranno cioè battezzare, ci sarà la fine del mondo e la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo.

Questa visione degli ebrei resse fino a quando la storia poteva dirsi cristiana  cioè fino a quanto vi erano condizioni concrete che la rendevano credibile. Esse presupponevano, ripetiamolo, che gli ebrei vivessero in esilio dispersi, umiliati e collettivamente discriminati. A partire dalla Rivoluzione Francese la condizione storica degli ebrei è andata mutando. In primo luogo vi fu il fenomeno dell’emancipazione, vale a dire agli ebrei, come individui, fu progressivamente riconosciuta la parità dei diritti civili. Pur crescendo un nuovo antisemitismo, nelle società europee era perciò venuta meno la condizione di discriminazione collettiva ebraica. La Chiesa denunciò questo fenomeno come anticristiano. In secondo luogo, sorse un movimento nazionale ebraico che si impegnava a far tornare gli ebrei alla loro terra (sionismo). La Chiesa si oppose anche ad esso. Infine nell’Europa del Novecento si assistette dapprima all’introduzione in Germania e in Italia di legislazioni razziali e poi alla Shoah in cui il popolo ebraico, in luogo di vivere umiliato e perseguitato, doveva essere totalmente annientato. Nell’immediato secondo dopoguerra si ebbe infine la nascita dello Stato d’Israele. Tutti questi avvenimenti, estesi nell’arco di circa 150 anni, erano incompatibili con il più consolidato modo cristiano di vedere gli ebrei.

Il sistema, nato a cominciare dal IV secolo, per reggersi aveva bisogno di precise corrispondenze storiche. Esse, nel corso del XX sec., vennero meno. Le idee e i pregiudizi sopravvissero un po’ di tempo; ma poi ci si rese conto che bisognava imboccare una strada nuova più fedele sia alla parola di Dio sia alla storia. Per la Chiesa cattolica l’inizio – si basi solo l’inizio – di questo cammino si ha con il Concilio Vaticano II. I vecchi modi cristiani di guardare agli ebrei sono tramontati  per un motivo che non conosce confutazioni: a partire dal IV secolo la visione cristiana degli ebrei aveva bisogno che la storia le desse ragione; c’è voluto molto tempo, ma, alla fine, la storia  le ha dato invece torto: di fronte alla smentita dei fatti nessuna teoria può reggere all’infinito.

 

Piero Stefani

 

 

255 – Breve storia della nascita e del tramonto dell’antigiudaismo cristiano (21.06.09)ultima modifica: 2009-06-20T10:05:00+02:00da piero-stefani
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