246 – Il futuro della Chiesa in Italia (19.04.09)

Il pensiero della settimana n. 246

 

Riproduco, con lievissime modifiche, la parte finale di un’ampia intervista, fattami dal triestino Giorgio Pilastro, di prossima pubblicazione in un volume collettaneo.

 

La tradizione viene sempre intesa in senso di mantenimento.

 

È giudicata assai più l’atto di “custodire il deposito” piuttosto che di svilupparlo. È il problema della parabola dei talenti: secondo il tradizionalismo, il più fedele sarebbe stato quello che li nasconde e non quello che li traffica. Il modello di fedeltà è statico. Se certe istanze non sono recepite all’interno della Chiesa, esse trovano risposte altrove. Questo atteggiamento mette in campo la questione della libertà. Il problema dell’obbedienza nella libertà. Nella Chiesa la libertà non è riconosciuta. Quindi si creano due situazioni estreme: da una parte abbiamo la rottura e dall’altra l’integralismo. Sono aspetti antitetici, ma sono anche le due facce della stessa medaglia.

 

C’è qualche mediazione tra queste due posizioni?

 

C’è lo scisma sommerso. Attualmente non credo che ci possa essere mediazione. Almeno in Italia. In questa situazione cosa si può fare? Non lasciarsi espropriare della libertà del cristiano intesa in senso alto.  Se vogliamo dirla, non con Borrelli, ma con il cardinal Martini, è il tempo di: resistere, resistere, resistere. Ciò significa non lasciarsi espropriare da altri. Si tratta di un lato difensivo, ma è fondamentale. Dall’altro la prospettiva non è poi così oscura; l’attuale posizione della Chiesa non reggerà. La storia a poco a poco la sgretola. Si può affermare fin che si vuole che bisogna appoggiarsi sulle radici cristiane dell’Italia, ma i fatti lo smentiscono sempre di più. Lo stesso vale sul fronte bioetico. Trentacinque anni fa la dirigenza cattolica si diede da fare per abolire il divorzio. Oggi nessun uomo di Chiesa pensa di impegnarsi a eliminare il divorzio dalla legislazione civile. Adesso si è costretti (o si dovrebbe esserlo) non solo a studiare i modi per testimoniare in maniera mite l’indissolubilità del matrimonio all’interno di una società pluralista e divorzista, ma anche a individuare una pastorale che vada a favore (e non contro) i divorziati risposati.  Prima o poi qualche risposta la si dovrà trovare. A tempi lunghi la stessa cosa avverrà per il testamento biologico. Su questo punto ora c’è una posizione apparente forte, ma, in realtà, essa è basata su un’illusione temporanea legata ad interessi politici specifici. Non durerà. Così come, per rivolgere lo sguardo all’interno della Chiesa, non durerà il pervicace rifiuto della Chiesa latina (e solo di essa) di consacrare al sacerdozio uomini sposati.

Naturalmente subire il cambiamento per la forza dei fatti, è ben altra cosa che governarlo in virtù della propria libertà spirituale; ma essendo quest’ultima ridotta al lumicino, occorre contare sul primo fattore.

 

Cosa non dura?

 

Non dura la possibilità incarnata dalla Chiesa italiana di oggi di rappresentare il sentire profondo del paese. Non dura la sua illusione di rappresentare l’ethos collettivo. È una pretesa anacronistica e quindi inevitabilmente destinata a cadere.  Facciamo un paragone: per quale motivo l’antigiudaismo cattolico è tramontato? Non perché ci sia stata, in prima istanza, una elaborazione di dottrine interne. È caduto perché le condizioni esterne che lo tenevano in piedi sono mutate: non c’è più  ghetto, c’è stata la Shoah, il popolo ebraico non è più disperso perché è sorto  lo stato di Israele. Sono tre eventi del tutto incompatibili con l’antigiudaismo classico. Il simulacro è rimasto per un po’, ma poi anch’esso è caduto e ci si è dovuti adeguare.

 

Sarà così anche per Chiesa italiana?

 

Secondo me sì. Non credo che la sua  pretesa di rappresentare l’ethos nazionale abbia futuro. Il problema di vivere la fede in un mondo post moderno, relativistico, pluralistico, evitando di denunciare solo scristianizzazioni e  perdite dei valori, non  è eludibile all’infinito. Il fatto è che troppo spesso, in ambito ecclesiale,  si crede che il proprio tramonto coincida con quello della fede.

 

Perché la Chiesa ha tanta difficoltà?

 

Perché bisogna ammettere che il regime di cristianità è definitivamente finito. Se si va in Vaticano ci si rende conto che quella è tuttora una struttura di cristianità. Storicamente è così. Se uno vede il papa che, circondato da guardie svizzere,  riceve in suntuosi saloni, il corpo diplomatico come fa a non ritenere che lì ci si accorga che è finito il regime di cristianità? Il problema è che la Chiesa cattolica è effettivamente anche un’istituzione e in quanto tale è dotata delle sue logiche. Non si può domandarle di essere molto diversa. È un abbaglio tipico di tanti progressisti i quali sbagliano nel momento in cui chiedono all’istituzione quanto essa non può dare. Posso esigere da un vescovo che svolga il suo ruolo in uno stile meno anacronistico. Qualcuno già lo fa. Ma non posso chiedergli di non avere rapporti con il prefetto o con il sindaco. Anch’egli  è a capo di  una struttura pubblica, c’è la diocesi, ci sono le parrocchie e così via. Solo che il vescovo dovrebbero essere semplicemente consapevole che questo non è vangelo, così come non lo è il nostro mestiere che facciamo tutti i giorni. Lo stesso vale per un papa che riceve il corpo diplomatico. Se invece si vuole ammantare tutto questo con il vangelo, allora l’imputazione di tradimento è inevitabile. Il vangelo sine glossa è leggibile nella vita di Francesco di Assisi, non in quella di un politico, di un ingegnere, di un professore, di un vescovo o di un papa. Può essere che esistano ingegneri santi, come è stato Alberto Marvelli, o vescovi e papi santi, ma nessuno di essi lo è in ragione della carica che ricopre.

 

Le maggiori difficoltà sorgono quando guardiamo all’istituzione e contemporaneamente pensiamo all’opzione per gli ultimi, per i poveri. Ci aspettiamo una Chiesa diversa?

 

Le istituzioni hanno delle logiche – come diceva Ivan Illich – che sono insuperabili. Per questo non ce ne si può liberare del tutto senza provocare conseguenze drastiche. Si può, per esempio, ipotizzare che un papa cessi di stare in Vaticano?  Il massimo che gli si può chiedere è di andare a risiedere a San Giovanni in Laterano, ribadendo così il fatto che è papa in quanto è vescovo di Roma. Ma perché un simile gesto sia coerente si dovrebbero smantellare tutti i rapporti tra la Santa Sede e gli altri stati. Con quali conseguenze? In ogni caso, non avrebbe alcun senso che il vescovo di Roma ricevesse nella sua cattedrale il corpo diplomatico. In realtà, un’eventualità del genere può essere imposta solo da determinate vicende storiche (proprio come avvenne per la scomparsa dello Stato Pontificio); non  è pensabile che sia l’esito di un processo di autoriforma. Attualmente all’orizzonte non si vede nulla del genere; ma chi può prevedere il futuro?

 

Questa Chiesa, però, che non si comprende bene dove stia traghettando, comporta molta più ansia e più inquietudine?

 

È vero, non è chiaro quale sia la strategia attuale della Chiesa. Noi vorremmo che il vertice si apra perché c’è troppo clericalismo. Vorremmo, come diceva Pio XII, che ci fosse più opinione pubblica nella Chiesa e soprattutto che fosse ascoltata. Bisogna operare in questa direzione. Facile a dirsi, arduo da mettere in pratica, mentre, allo stato attuale, è quasi utopistico ipotizzare un esito positivo.

In molti settori ecclesiatici si ha tuttora paura dell’opinione pubblica ecclesiale. Ai suoi vertici la Chiesa si pensa tuttora in modo clericale. Ciò avviene perché i laici cattolici non sono adulti, non solo nella fede, ma anche nella cultura. Tra i cattolici la crisi culturale è ancor più forte di quella della fede. Un confronto tra il livello culturale del laicato cattolico di oggi e quello di qualche decennio fa’ è impietoso.

 

Nelle religioni c’è una sorta di deresponsabilizzazione. Quanta libertà c’è dentro la Chiesa cattolica di esprimere idee, dissenso, progetti, ecc.?

 

Lo ripeto, siamo soprattutto di fronte al cosiddetto scisma sommerso. In altre parole,   non esiste un’opinione pubblica che venga ascoltata. All’interno della Chiesa vige  un modello di laicato pensato in modo organico. Faccio un esempio. Una signora di Rovigo mi chiedeva: “Devo accettare di essere nominata nel sinodo diocesano? Sono andata lì per partecipare e mi hanno chiesto di fare un giuramento”. Si noti, esso riguardava non solo l’atto di condividere gli insegnamenti della Chiesa, ma anche il fatto di partecipare ai lavori stessi del sinodo. Lascio ad altri stabilire come si possa tenere assieme tutto ciò con il Discorso della Montagna (cfr. Mt 5,33-37).

Il laicato cattolico è ascoltato solo se è organizzato e organico. Se l’organizzazione, come nel caso di alcuni movimenti, è molto forte essa può ottenere i propri vescovi ed entrare a far parte, a pieno titolo, del sistema con un proprio ruolo e un proprio spazio. Ma un laico, che non aderisce a nessuna associazione o a nessun movimento e che si presenta come  un credente puro e semplice, vale a dire colui che si affida a quanto è fondamentale, in sostanza non conta nulla. Ben s’intende agli occhi della gerarchia, non a quelli di Dio. La mancanza di riflessione su questo punto è un segno preoccupante.

 

Ci sono elementi di speranza?

 

La speranza, intesa nel suo senso più alto, è rivolta all’avvenire di Dio; essa non riguarda la riforma delle istituzioni, neppure quelle ecclesiali. Rispetto a queste ultime si può confidare che, a poco a poco, ci si accorga che il re è nudo e che l’attuale, apparente rigoglio della cristianità è solo un riflesso condizionato provocato dal pluralismo religioso. Molte radici cristiane sono state scoperte solo grazie alla  crescente presenza musulmana. Certo, finché ci saranno musulmani che riempiono le piazze per svolgere una preghiera che è in realtà un atto politico, è ben difficile che la nostalgia di cristianità declini. Nel tempo breve non sono ottimista; mentre su tempi lunghi è ipotizzabile che la situazione non duri. Il che non vuol dire che dalle macerie nasca chissà cosa. È come la situazione economica: quando ci sono le crisi serie esse sono effettivamente tali, non crisi di crescita. Esistono fondati motivi di preoccupazione.

Piero Stefani

246 – Il futuro della Chiesa in Italia (19.04.09)ultima modifica: 2009-04-18T10:20:00+02:00da piero-stefani
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