207 – Per non dimenticare (o forse per sapere) (01.06.08)

Il pensiero della settimana, n. 207

 

«Mi piacerebbe raccontarti una storia nella quale un nazista mi abbia detto chinati, così non devo picchiarti, oppure nasconditi, così non ti vedo, oppure svignatela e sparisci, così riuscirai a prendere il pane che sta sul tavolo. Una cosa del genere te la racconterei con entusiasmo. Ma purtroppo non lo posso. Non è accaduta in nessuno dei campi di concentramento nei quali sono stata. Da nessuna parte. […]

Ad Auschwitz si costruisca  un camino che mandi fiamme!  Non uno solo! Cinque! Che ardano giorno e notte. Se ci si trova in una baracca e si guarda ogni giorno il camino che sprigiona tanto chiarore, nel bosco, il fuoco arde, l’ardore arriva e tu avverti la presenza degli esseri umani!

La  cosa peggiore, per noi era l’arrivo dei treni alle tre di notte. Senti quello stridore dei freni e senti come camminano gli esseri umani, come vengono incalzati dai kapò e dai soldati coi cani. I cani guaiscono, il rumore sale fino al cielo. Poi senti  come i loro vestiti strisciano sul terreno, come si preparano a entrare nel crematorio. Poi, per un po’, non senti più niente di niente. Poi c’è solo silenzio, capisci? E poi, all’improvviso, soffia un alito di vento e l’odore penetra nella baracca […] Non puoi immaginare il tipo di fumo che è penetrato. Dopo restava solo il nero. Spesso, quando eravamo tornati a casa dopo l’appello e i camini avevano fumato, mia madre mi ha detto: “pulisciti le labbra!”. Avevo sempre la bocca nera e l’aveva anche lei, per la fuliggine. I crematori non erano affatto distanti. Non riesco a ricordare  una sola volta in cui non abbiano fumato. Il fumo è arrivato alla nostra baracca ed è salito fino a raggiungerci. “Guarda,” ha detto la mamma “quelli ce l’hanno fatta”.

Sono stata davanti al crematorio due volte, una volta per due giorni e due notti e una volta per un giorno intero. La seconda volta eravamo pronti. L’unico nostro desiderio è che la faccenda fosse rapida. E mia madre l’ha spiegata in maniera bellissima: “Di là ti aspetta tua nonna, tuo padre e tutta la tua gente. Si sono già preparati ad accoglierci. Qui siamo soli. Vostro padre non sta insieme con voi”. Ci ha tolto la paura. Eravamo delusi, non appena siamo stati allontanati perché eravamo sicuri che sarebbe successo. […] Ma ciascun essere umano finché respirerà, vorrà vivere. Mi ricordo il modo in cui siamo stati lì l’ultima volta, è stato orribile. » (pp. 80-82).

«In quella collettività c’era proibito  tutto, tranne morire» (p. 33).

«Quando sto in cucina e pelo le patate mi viene subito alla mente la piccola buccia di patata di Bergen-Belsen! Oppure, butto qualcosa e penso al pane ammuffito che abbiamo ricevuto per posta a Ravensbrück […] Per noi, sostenere da soli il peso di tutta questa vicenda è stato molto difficile. Ci sono stati attimi, nel corso degli anni successivi, nei quali tutto è stato meraviglioso, la giornata era bella, il sole splendeva. All’improvviso, però, ti sei chiesta: perché sei stata là dentro? Come mai? Chi ha trovato qualcosa da ridire sul tuo conto e di quale orrendo crimine ti sei macchiata per essere costretta a vivere l’esperienza di Auschwitz? Di quale? Poi abbiamo osservato le nostre dita e ci siamo toccati perché non riuscivamo a crederci. Ma successivamente ce ne siamo resi conto di nuovo: non è dipeso affatto da noi ciò che abbiamo vissuto» (pp. 77-78).

«Nessuno dice: “Grazie al cielo sono sopravvissuti! Che è successo? Come siete riusciti a cavarvela? Come avete fatto?”

Nella nostra terra sono stati moltissimi a guardarci storto. È vero che non hanno detto niente, il numero però è sempre stato in evidenza, lo hanno visto. Si sono domandati: “Come sono sopravvissuti? Come mai sono di nuovo qui?”. Ciononostante, non saremmo mai andati altrove. Anche se fossimo stati tanto ricchi da poter comprare dei terreni in America o in qualunque altro paese, non ci sarebbe mai stato possibile. E ciò semplicemente  perché tutti i nostri parenti  giacciono in questa terra magnifica. I nostri antenati sono stati tutti seppelliti qui e noi sappiamo dove. Mia madre l’avrebbe considerato un terribile tradimento se avesse desiderato una vita più agiata e maggiormente distaccata dagli eventi» (p. 70).

«E poi, all’improvviso, soffia  un alito di vento e l’odore penetra nella baracca. E mia madre ha sempre detto: “Tra gli ebrei ci sono sicuramente pure dei rom. Dove saranno le tue nonne?”» (p. 81).

«Ogni mia visita a Bergen-Belsen somiglia a una festa! I morti svolazzano. Escono, si muovono, io ne avverto la presenza, cantano e il cielo è pieno di uccelli. È soltanto il loro corpo che giace lì. Hanno lasciato il proprio corpo perché la vita gli è stata tolta con violenza. E noi siamo i loro difensori, li difendiamo attraverso la nostra esistenza» (p. 55).

Ceija Stoika,  Forse sogno di vivere. Una bambina rom a Bergen-Belsen, Giuntina, Firenze 2007.

Dal pensiero n. 206. Si propone che «il prossimo 27 gennaio, giornata della memoria, l’attenzione di tutti sia posta in modo privilegiato sui rom. Porajmos  (“devastazione”) è il termine da loro coniato per dire la loro Shoah. Fu un gruppo umano in tutto e per tutto uguagliato agli ebrei. I rom furono annientati non per come si comportavano, per le idee che professavano, per lo schieramento a cui appartenevano, ma per il semplice fatto di esserci, per la “colpa di esistere”. A motivo della mancanza di dati anagrafici, è impossibile stabilire il numero delle vittime, ma è certo che esse furono varie centinaia di migliaia, e forse superarono il milione. Nel gennaio prossimo enti locali, istituzioni culturali, scuole, comunità ebraiche e musei della Shoah dovrebbero essere i primi a cogliere l’occasione. Sarebbe un monito su dove possono condurre determinati climi oggi dilaganti in Italia. Tuttavia non è sospetto infondato ipotizzare che alcuni dei potenziali soggetti organizzatori respirino un’aria pericolosamente simile a quella che dovrebbero combattere».

 

La Giuntina è una casa editrice dichiaratamene ebraica.

Il libro di Ceija, nata nel 1933, è, in varie sue parti, letteralmente insostenibile:  tra le realtà di cui ci è ignoto il fondo, vi è l’orrore derivato da quanto alcuni esseri umani compiono nei confronti di coloro che dovrebbero essere loro simili.

Piero Stefani

207 – Per non dimenticare (o forse per sapere) (01.06.08)ultima modifica: 2008-05-31T07:45:00+02:00da piero-stefani
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