179 – Il ‘Sistema calcio’ (18.11.07)

Il pensiero della settimana, 179

 

L’anno apertosi con i fatti di Catania, culminati nell’uccisione dell’ispettore di  polizia  Filippo Raciti (cfr. pensiero n, 144), volge al termine con quella del tifoso laziale Gabriele Sandri e con i successivi disordini romani, milanesi, bergamaschi. Il ‘pianeta calcio’ non esce dalla morsa della violenza. Affermazione vera, ma troppo generica per essere di qualche utilità. In effetti, quanto è avvenuto domenica 11 novembre ha dato luogo a una novità rilevante: l’accusa di terrorismo mossa nei confronti dei quattro arrestati di Roma. L’epicentro della questione è diventato perciò lo scontro diretto e programmato tra ultras (o ultrà) e forze dell’ordine.

Nel discutere l’avvenimento possiamo prescindere dall’esprimere giudizi sulla tattica, adottata dalle forze dell’ordine, orientata a evitare il corpo a corpo con gli ultras facendo ricorso a un ripiegamento che ha lasciato libero corso  alla distruzione  di beni pubblici e privati. A molti il comportamento è apparso una resa; ad altri, forse più avveduti, un calcolo per evitare il peggio. In ogni caso il problema affonda le radici in strati di terreno più profondi e su questi cerchiamo di compiere qualche trivellazione.

A commento dei fatti di Catania, ci si era riferiti alla sottovalutazione degli esiti nichilistici connessi alle discussioni calcistiche. La constatazione che ormai da anni, per una parte considerevole dei mass-mediea e dell’opinione pubblica, le decisioni arbitrali siano un privilegiato oggetto settimanale su cui si misura il senso collettivo del giusto e dell’ingiusto, avrebbe dovuto, da tempo, ingenerare preoccupazione. Il calcio è un mondo in cui tutto si compra e si vende: giocatori, diritti televisivi,  risultati. Scandali e fenomeni di corruzione si susseguono senza posa. Sono stati revocati scudetti e comminate retrocessioni. Eppure in questo marasma generale le scelte arbitrali sembrano ancora atti degni di serie analisi. Un rigore negato o concesso evoca complotti, crea vittime, consolida soprusi, fa opinare l’esistenza di grandi burattinai. Accidentalità, incompetenza, distrazione, persino un diretto interesse personale (cfr. il vecchio, ingenuo epiteto: «arbitro venduto») sembrano disanime da sprovveduti. Il caos deve essere, sia pure perversamente, governato. Non stupisce, quindi, constatare che le dinamiche un tempo riservate alle relazioni internazionali siano ora applicate ai rapporti tra i club; anche qui ci sono superpotenze, piccoli collaborazionisti, vittime del «sistema» (desueto termine ora tornato di attualità).

Nel nichilismo valoriale prospera l’arcaica e postmoderna appartenenza di gruppo. I diritti rivendicati dagli ultras sono collettivi. Le forze dell’ordine possono affermare che gli individui x e y, rei di atti violenti, non hanno più diritto di accedere agli stadi. Esse ragionano sulla base di un moderno senso di responsabilità individuale. Si tratta di misure inevitabilmente fallimentari. Nelle tifoserie l’individuo conta poco; quanto importa è il gruppo. Questo vale anche per la componente non violenta  che orienta la propria attività nella dimensione scenografico-liturgica. La tifoseria è qualcosa di più di una pura somma di individui. Se fosse altrimenti non si spiegherebbero le grandi coreografie autogestite che caratterizzano gli stadi.

La caduta del senso di responsabilità individuale nella società italiana si misura anche fuori dal calcio. Non a caso l’attuale, incipiente dilagare di gravi forme di xenofobia si poggia sulla plausibilità assunta agli occhi di molti dall’esistenza di presunte forme di colpevolezza collettiva. Negli stadi questa logica è, comunque,  già da tempo imperante. Si discute se sia stato un bene o un male decidere di far giocare tutte le partite tranne due (Milano e Roma) e di interromperne una (Bergamo). Le valutazioni sono varie. Tuttavia appare abbastanza sicuro che tra gli ultas di Roma sia avvenuto un ragionamento basato su due presupposti: a) quando è stato ucciso Raciti il campionato è stato fermato, quando è stato ammazzato da ‘loro’ uno dei ‘nostri’ no, ecco la prova provata che per il ‘Sistema’ un poliziotto vale più di un tifoso; b) tutte le partite si sono giocate tranne la nostra, siamo dunque considerati il peggio del peggio, da qui l’attivo innesto della regola stando alla quale il nemico (rispettivamente romanista o laziale) del mio nemico (la polizia) è  mio amico.

Dai giornali apprendiamo che  l’analisi va spinta più in là. Si viene a conoscere che da sette anni presso la Digos esiste un ufficio tifoserie e che in Italia ci sono  20.000 ultras politicizzati, per l’esattezza 14.630 di estrema destra e 5275 di estrema sinistra. L’eccesso di esattezza dell’enunciazione la rende più sospetta che convincente. Altrettanto dicasi per una troppo rigorosa classificazione ideologica. Inoltre è impossibile non mettere in rilievo un contrasto tra questa acribia enumerativa e l’inefficacia operativa.

È probabilmente giusto ritenere che i  gruppi ultraviolenti si autogiudichino forze antitetiche a un ‘Sistema calcio’ garantito dalla collusione tra il potere del denaro e quello delle forze dell’ordine. Tuttavia la loro impronta ideologica, se c’è, appare più nichilistico-anarcoide che politica. Il loro ‘terrorismo’ individua il cuore del ‘Sistema’ nelle pay-tv; vale a dire essi agiscono come se il ‘pianeta calcio’ fosse diventato il globo. Né è detto che questa sommaria immagine racchiuda più verità di quanto non si sia disposti a credere: «Le note interne redatte nell’ultimo anno dal Dipartimento di Pubblica sicurezza raccontano una nuova forma di eversione: “I gruppi – si legge – perseguono una contrapposizione al ‘Sistema’. Il che si traduce in un’accentuazione dello scontro violento con le forze dell’ordine, considerate i primi nemici perché braccio armato della ‘repressione’ e ‘al soldo’ della pay-tv e degli interessi economico-finanziari del calcio» (La Repubblica 13.11.227, p. 6). Nei terribili anni di piombo, l’eversione sarebbe stata esterrefatta dalla riduzione ‘piccolo-borghese’ del mondo al calcio: allora, per i terroristi, il capitalismo del ‘Sistema’ aveva ambizioni maggiori. Varcata le soglie del terzo millennio apprendiamo invece che nel calcio la parola ‘Sistema’ (un tempo declinata solo in riferimento alle schedine del totocalcio) è divenuta necessaria per comprendere la violenza dei signorotti e degli sgherri che dominano le curve.

Veniamo , inoltre, a conoscere che si sta manifestando una tendenza volta a garantire l’ordine all’interno degli stadi ricorrendo a stewart (l’equivalente dei vigilantes privati che presiedono ville e banche) e di concentrare la polizia sull’esterno. Anche questa può rivelarsi tattica saggia. È difficile però scacciare il sospetto che sia una spia di dinamiche  che indicano una progressiva resa dell’autorità dello Stato o forse persino di un intero  modello di civiltà giuridica.

Piero Stefani

 

179 – Il ‘Sistema calcio’ (18.11.07)ultima modifica: 2007-11-17T09:35:00+01:00da piero-stefani
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