171 – Il dilagare dell’estetico (23.09.07)

Il pensiero della settimana, n. 171

 

Negli anni sessanta il grande teologo Hans Urs von Balthasar si lamentava che la bellezza non fosse più né amata, né custodita neppure dalla religione. Il bello, proseguiva, esige non meno coraggio e forza della verità, della bontà e se viene  separato da esse trascina le sue due sorelle in una vendetta misteriosa. Chi, sentendo parlare di bellezza sorride ritenendola un «ninnolo esotico di un passato borghese», si può essere sicuri che  non è capace di pregare e, alla fin fine, neppure di amare  (cfr., Gloria I, Milano, Jaca Book 1985, pp. 10-12).

In quarant’anni la situazione si è completamente rovesciata. Pure nella produzione teologica lo spirito estetico  regna  ormai quasi incontrastato. Non a caso lo splendore del vero (veritatis splendor) appare la cifra per dire anche il bene. Dietro tutto ciò ci sono molti motivi, che qui non discuteremo, quel che ci interessa è invece comprendere che questo clima culturale travalica i confini del sacro per entrare nella sfera profana (ma il procedimento può essere assunto anche in senso inverso). Ovunque l’estetico è posto all’apice dei valori.

Non ci può essere nostalgia di sorta per lo sciagurato periodo in cui, seguendo la logica della modernizzazione e nascondendo sotto l’ombrello del progresso sociale basse speculazioni, si sono devastate le città tanto con sventramenti, rimasti nel tessuto urbano come orride cicatrici,  quanto con la crescita di periferie paragonabili a enormi, orripilanti escrescenze. Parlare di salvaguardia e rivalutazione dei centri storici è un saggio discorrere e agire in tal senso è un buon operare. Tuttavia ciò non dovrebbe avvenire a scapito di altri fattori. Centri storici costituiti da uffici, boutique e altri negozi di lusso, chiese e palazzi, musei e (in barba al bello) pizzerie e McDonald’s sono, per forza di cose, predisposti a essere invasi da turisti e abitati da persone sempre più vecchie e sole. Ciò li rende luoghi in cui la bellezza e le sue grottesche deformazioni hanno fagocitato dentro di loro  il buono e il vero (e ormai non è neppure facile ipotizzare misteriose vendette delle sorelle emarginate). È, d’altra parte, sintomatico che, oggi, le polemiche culturali più focose scoppino quasi fatidicamente su temi estetici (restauri,  musei, mostre, spettacoli, ecc.). Vi sono realtà, come Venezia, in cui tutte queste tendenze sono di un’evidenza palmare; ma, sia pure  in maniera meno travolgente, il fenomeno è riscontrabile anche altrove. Una città può anche morire a motivo del proprio mal custodito splendore.

Il fratellastro più riconoscibile di una bellezza che ha perso le ali della trascendenza è il ludico; una dimensione che, come è agevole constatare, si espande in modo irrefrenabile. In realtà, il bello può toccare l’eccelso solo ogni tanto. L’esperienza estetica tanto forte da diventare estatica (vale a dire capace di chiamarti a uscire dal tuo quotidiano te stesso) non può essere di ogni momento e di ogni ora: a differenza del ludico, è difficile organizzarla. Quel che ha potentemente contribuito a corrompere il bello è la sua universale, ininterrotta fruibilità. Si ricordano certe luci e certi tramonti perché non ogni giorno i raggi indorano l’aria in quella maniera e  non ogni sera il cielo si tinge di irripetibili colori. Un tempo era raro ascoltare musica sublime, oggi la si può udire ventiquattro ore su ventiquattro e ce la si può portare letteralmente addosso. Le mostre si moltiplicano senza interruzione. Lo stesso dicasi per gli spettacoli teatrali. Gli spostamenti sono diventati di una facilità elementare, l’arte e la natura più belle sono sempre a portata di mano. Il dilagare della bellezza ne ha provocato la  banalizzazione.

Vi è una differenza capitale tra bontà e bellezza; la prima tende a rivendicare a se stessa la costanza, la ripetizione, la solidità di un ordinario procedere. Si è chiamati ora dopo ora a vivere bene. Gli atti estremi di bontà possono essere rari, il comportamento morale preme invece per essere diuturno. Se avvenisse il contrario sarebbe illusorio, così come, sull’altro versante, lo sarebbe un bello che pretendesse per   una compatta continuità priva di interstizi (in questo senso la descrizione dello stadio estetico e di quello etico proposta da Kierkegaard restano paradigmatiche). Si può passare anche ogni giorno davanti a una meravigliosa facciata, ma sarà sempre un raggio di sole o uno stato d’animo particolare a farcela rivedere, a ora incerta, sub specie pulcritudinis. Di contro, ogni giorno si deve rispettare il prossimo che si incontra per strada o al lavoro.

Voler rendere l’estetico il perno su cui ruota la vita quotidiana delle città d’arte  significa perpetrare l’inganno di far rivestire al bello i panni che si addicono all’ethos. Ogni manifestazione culturale deve perciò tendere a diventare un evento estetico, vale a dire assumere un aspetto ludico. Il moltiplicarsi della formula dei festival (letteratura, filosofia, economia, scienza, mente, Bibbia, ecc.) ben rappresenta l’opzione secondo cui tutto deve farsi spettacolo. Perciò quando sorgono riserve sulla politica culturale di un’amministrazione, il sindaco risponde (come è successo di recente a Ferrara) sciorinando un elenco quasi interminabile di mostre, concerti, spettacoli, festival. La cultura è tutta qui. Il dibattito civile, il confronto fra idee, la discussione sull’esistenza o meno di valori comuni, l’incontro fra le generazioni, le grandi scelte rispetto all’ambiente, agli stili di vita, all’integrazione, alla pace non rientrano nella cultura. Per essi ci sono altri assessorati e altre professionalità. In effetti, per affrontare in maniera pertinente simili temi occorrerebbe una crescita quotidiana dell’ethos pubblico, compito assai più esigente dell’organizzare eventi più o meno clamorosi. Solo quando si capirà che pure gli argomenti etici, civili, valoriali, generazionali sono, sotto ogni aspetto, cultura e non già solo pretesti per il gioco politico o problemi riservati alla gestione amministrativa, si creeranno di nuovo le condizioni grazie alle quali sarà possibile accogliere il dono insostituibile della bellezza in tutto il suo intermittente fulgore.

Piero Stefani

 

171 – Il dilagare dell’estetico (23.09.07)ultima modifica: 2007-09-22T10:20:00+02:00da piero-stefani
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