170 – Morfina (16.09.07)

Il pensiero della settimana, n. 170

 

Quando si discute di bioetica bisognerebbe sempre mettere in conto il suo legame diretto con la dimensione  tecnologica. Ciò comporta  che il problema, nella sua acutezza, riguarda solo alcune aree del pianeta (cfr. pensiero, n. 143). L’iniqua distribuzione di risorse, reddito, beni e cultura sulla superficie terrestre è la spessa ombra che accompagna le questioni etiche collegate all’origine e alla fine della vita. Tuttavia quest’opacità è come l’altra faccia della luna: si sa che c’è ma nessuno la vede. Per l’astro celeste si tratta di una cecità dovuta a ragioni fisiche, nell’altro caso si è davanti invece a un’incapacità di vedere dovuta a egoismo, insensibilità morale e irresponsabilità sociale.

Un risvolto di questa non volontà di vedere, che rappresenta lo zoccolo su cui poggia il nostro stile di vita quotidiano, è di non darsi pensiero del modo in cui il dolore fisico è ridistribuito nello spazio e nel tempo. Ogni testimonianza storica ci induce a immaginare che, anche alle nostre latitudini, le persone abbiano, in passato, sofferto molto più di quanto avviene mediamente oggi. Per loro c’erano meno difese rispetto al clima, meno risorse alimentari, più malattie e poche medicine; il lavoro, per durata e intensità, richiedeva fatiche immense; per le donne cucinare e fare il bucato erano attività che i contemporanei giudicherebbero torture quotidiane; i lavori agricoli erano spesso estenuanti; gli operai avevano, di regola, turni massacranti; i soldati erano lasciati agonizzanti sui campi di battaglia o subivano, senza anestesia, amputazioni brutali; i viaggi erano lenti, disagevoli, sfiancanti. L’elenco potrebbe continuare; tuttavia il solo atto di prolungarlo entrerebbe in urto con la nostra capacità, fattasi sempre più ridotta, di sopportare il dolore: a turbarci basta ormai il solo pensiero della sofferenza. Eppure, per molti aspetti, la geografia è un’attualizzazione della storia: molte delle realtà sopraelencate sono, altrove, tuttora all’ordine del giorno.

Non manca chi nota in questa verticale diminuzione della capacità di affrontare il dolore un segno antropologico inquietante. Una volta la gente si accontentava del ventaglio e, con qualsiasi temperatura, usciva per strada vestita di tutto punto; oggi, pur girando discinta e vivendo in mezzo all’aria condizionata, ‘muore di caldo’ appena la colonnina sfiora i trenta gradi.  Nel constatare un generale indebolimento della nostra capacità di reggere i disagi (fatta eccezione per quelli autoimposti per fini ‘agonistici’) c’è del vero. L’aver ridotto il numero degli agenti perturbanti ci ha reso sempre meno in grado di fronteggiare i fastidi; di conseguenza, siamo diventati sempre più ipersensibili anche davanti a sofferenze minime. Perciò non ci si vergogna più di lamentarsi per qualunque cosa. Ogni più piccolo disagio è giudicato insopportabile. In questo circolo vizioso il gatto si morde la coda.

È indubbio che la tecnica può essere, in proprio, fonte di dolore fisico; tuttavia è ancor più certo che solo essa può ridurlo. La massima produttrice di sofferenza al mondo resta la natura. Non a caso la techne è sorta soprattutto per difenderci dal tirannico potere della ‘grande matrigna’. Una parte (non irrilevante) delle poderose conseguenze negative – che ormai sfiorano da vicino la catastrofe – prodotte dalla tecnica è dovuta anche all’enormità della sfida da essa assunta di misurarsi con il lato dannoso della natura.

Nella nostra civiltà si è tentato di fornire anche una risposta spirituale al dolore fisico. Si è detto, per esempio, che esso può essere salvifico, può presentarsi come espiazione, come oblazione, come un cammino verso Dio, o, laicamente, come una maniera per temprare il proprio carattere. Perciò si è ritenuto significativo anche autoaffliggersi sofferenze. Si tratta di tendenze sempre più desuete e – per inciso – non è detto che l’attrazione, spesso ambigua, esercitata su molti dal buddhismo non sia dovuta pure alla sua estraneità a queste prospettive. In ogni caso è un dato obiettivo affermare che si tratta pur sempre di considerazioni parziali e largamente soggettive. Esse sono comunque legate all’intenzionalità di qualcuno e negate a tutti coloro su cui il dolore incombe come una necessità fatale che distrugge corpo e mente. Anche per questo la sofferenza dei bambini ci appare come la più ingiustificabile.

Prospettare la via della totale accettazione della sofferenza è altrettanto inadeguato del suo opposto speculare che tenta, vanamente, di rifuggire del tutto da essa. In  entrambi i casi l’opzione estrema nasce dalla volontà di trovare una risposta monocorde (e quindi fittizia) a un nodo gordiano che non può essere tagliato da nessuna spada. In questi casi le repliche più autentiche e concrete sono solo quelle che si muovono nella parzialità, nell’ambiguità, persino nella contraddizione.

Oggi Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna e Australia assorbono, da sole, il 79% della morfina prodotta su scala mondiale. I paesi a reddito medio o basso dove vive il’80% della popolazione del pianeta ne consumano invece il 6%. Nel 2004, negli USA, l’uso pro capite della morfina è stato 17.000 volte superiore a quello della Sierra Leone. L’organizzazione mondiale della sanità calcola che ogni anno ci sono al mondo 4,8 milioni di persone affette dal cancro e 1,4 milioni di malati terminali di AIDS che non ricevono cure adeguate (cfr. La Repubblica 13.9.2007, p. 21). Dietro questi dati vi sono persone in carne e ossa che soffrono l’indicibile. Questo cumulo immenso di sofferenze, almeno in parte evitabili, è imputabile, oltre che a ragioni economiche, anche a fattori legati alla mentalità e alle culture. Il costo della morfina è basso, ma ci sono altri fattori che ne ostacolano l’impiego (la paura dell’assuefazione, il timore di usi impropri, ecc.). Affermare che la risposta globale alla sofferenza fisica sia la morfina (e quello che questo nome simboleggia) è certo stolto; ma, sull’altro fronte, non è forse empio essere titubanti nel cercare di ridurre l’oceano immenso di dolore fisico altrui?

Piero Stefani

 

 

170 – Morfina (16.09.07)ultima modifica: 2007-09-15T10:25:00+02:00da piero-stefani
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