150 – La parola crea: “Dio disse e il mondo fu” (18.03.07)

Il pensiero della settimana, n. 150

 

Riporto, con qualche modifica, la prima parte dell’intervento tenuto all’Associazione Rosmini di Trento il 18 gennaio 2007

 

Il ciclo che prende avvio con questa conversazione ha per titolo: la Parola nelle parole, la Bibbia e la comunicazione umana. Quindi uno dei suoi scopi generali è di confrontare una parola che la tradizione cristiana, e prima di essa quella ebraica, intende come Parola di Dio con le nostre parole, vale a dire con quelle che impieghiamo tutti i giorni.

Un confronto tra i due estremi è peraltro  possibile. Infatti quelle che chiamiamo parole di Dio all’interno della tradizione cristiana e di quella ebraica, le ritroviamo formulate in un linguaggio umano. C’è un detto antico che afferma: Dio parla nella lingua degli uomini. Quando capita tutto ciò? Allorché le creature ritengono che nelle loro parole compaia una parola di origine divina. Tuttavia la paragonabilità è particolarmente difficile a dirsi nel nostro caso che si occupa della parola creatrice. Nel ciclo ci sono titoli come: la Parola della vocazione, la Parola del patto, la Parola che costruisce la società umana, la Parola della promessa. Tutte queste situazioni trovano corrispondenze nel linguaggio interumano. Posso fare un patto con qualcuno. Le società umane e le nazioni fanno patti. Si costruisce la comunicazione, si costituiscono società. Si fanno delle promesse. Ogni tanto si mantengono, ogni tanto no, comunque si fanno. Ma rispetto alla Parola creatrice non si dà una simile paragonabilità.

La parola, dicevano i retori greci, è grande dominatrice. Il filosofo Gorgia affermava che la parola, con un corpo piccolissimo e invisibilissimo, fa cose meravigliose. Però non può creare. Può emozionare, comunicare, plasmare, comandare. Può persino fare. In termini tecnici, in questi casi si parla di linguaggio performativo. L’espressione: può essere trascritta in maniera molto semplice, ricorrendo alla frase: «quando dire è fare». La parola in qualche modo fa: se do un ordine a qualcuno che mi obbedisce, con la parola muto effettivamente il reale. La parola però non può creare nel senso forte del termine. Non può chiamare all’essere le cose partendo dal nulla. Anzi, alla parola umana non è dato neppure di trasformare la realtà con le sue sole forze. Non vi sono in giro molti Giosuè capaci di ordinare al sole di fermarsi. Quando le creature chiamano all’essere qualcuno, lo fanno come coppia nella generazione. Atto che non avviene attraverso la parola. Può aver luogo mediante rapporti sessuali o tecniche di inseminazione più o meno artificiali, ma mai solo con la parola.

Siamo di fronte alla massima forma di differenziazione possibile tra quella che è ritenuta la Parola di Dio e la parola umana. Ciò avviene perché le nostre parole rispetto al mondo sono successive, non precedenti. Vediamo le cose e le indichiamo, le descriviamo. Osserviamo il cielo e lo chiamiamo cielo, o sky o Himmel o shammaim e così via, ma non produciamo il cielo. Vediamo il mare, le montagne, gli alberi e li indichiamo. Come fece Adamo mettiamo il nome agli animali (Gen 2, 20), ma non li plasmiamo. Invece evocare la Parola creatrice vuol dire collocarsi prima delle cose.

Dobbiamo però chiederci: cosa ci induce a ipotizzare l’esistenza di una Parola creatrice? Riferirsi alla Parola creatrice non è identico a prospettare l’idea di  creazione. L’uomo può dire: io vedo il cielo, il mare, il fiume, le montagne, e dico «chi li ha fatti?». Non trovo negli esseri umani una capacità produttrice  adeguata per fare il cielo, il mare, le montagne, i fiumi, le stelle. Molte culture umane allora concludono: «non si sono fatti da soli. Qualcuno li ha fatti». Questo qualcuno possiamo chiamarlo dèi, Dio o con termini analoghi.

La Bibbia non ignora simili considerazioni. Per farlo non è però necessario appellarsi alla Parola creatrice. È diverso affermare «qualcuno li ha fatti» dal sostenere «qualcuno li ha fatti con la parola». Nel primo capitolo della Lettera ai Romani, Paolo prende in considerazione la condizione dei gentili (i non ebrei). Secondo la sua visione le culture prive della parola biblica avrebbero potuto risalire al Dio vero, invece di cadere in modo aberrante nell’idolatria. Questo esito era possibile perché davanti a loro si squadernava l’universo. I gentili, cioè, avrebbero potuto affermare che, partendo dal mondo, si può risalire all’esistenza di un Creatore.

Naturalmente si tratta di una convinzione  opinabile. Non soltanto nei nostri giorni, ma anche in quelli antichi, per esempio nella cultura greca,  c’è chi ha detto: «no, non c’è bisogno di ritenere che qualcuno li abbia fatti». Certo non si può dichiarare che il cielo, la terra e il mare  si siano fatti da soli con un atto volontario. Però alle spalle di queste realtà ora esistenti ci sono soltanto delle dinamiche proprie di entità preesistenti. Ricorrendo a una grande parola che tutto dice e nulla dice, si può sostenere che dietro a tutto c’è la natura. Ciò posto, occorre andare alla ricerca di come la natura abbia prodotto il cielo, le stelle, gli animali, gli uomini. Questa opzione dichiara: c’è sempre stato qualcosa. Non bisogna spiegare l’origine attraverso la creazione perché semplicemente un’opera simile non c’è mai stata. C’è stata solo una continua perenne e tuttora operante trasformazione.

Abbiamo alluso a due massime opzioni: la creazione e la natura. Ma né l’una, né l’altra presuppongono una Parola creatrice. Partendo dal mondo non si può dichiarare che la divinità, Dio o gli dèi abbiano prodotto qualcosa di diverso da loro attraverso la parola. Per riferirci alla Parola creatrice, non basta introdurre il termine creazione. Non è sufficiente sostenere che dal mondo si possa risalire, attraverso i segni, gli effetti e le cause, al suo Creatore. Se  affermiamo la Parola creatrice non possiamo parlare solo della creazione: dobbiamo introdurre un’altra categoria. Di norma, nell’ebraismo e nel cristianesimo, questo altro ambito è chiamato rivelazione. Da Dio non sono nate soltanto le cose, da lui è giunta agli uomini anche una forma di comunicazione diretta rivestita anch’essa di parole. Dio avrebbe potuto creare il mondo e gli uomini e farsi riconoscere da questi ultimi attraverso le creature divenute segni della sua presenza. C’è chi ritiene che questa via sia effettivamente percorribile. Se ne può discutere. In ogni caso essa è altro rispetto alla parole della rivelazione che  dice che ci fu e c’è una Parola creatrice.

Le tradizioni religiose abramiche affermano: Dio ha fatto giungere alle creature umane delle parole. All’interno delle singole tradizioni si discute sui modi in cui le abbia fatto pervenire loro. A tal proposito nel mondo cristiano si parla spesso di ispirazione. Sta di fatto che, quali che siano le maniere in cui le si interpreta, si afferma l’origine non solo umana di alcune parole. Nell’orizzonte della rivelazione, nasce la questione di come  la parola divina si incontri con quella umana. Dio infatti può rivelarsi soltanto facendo proprio il linguaggio degli uomini,  in caso contrario i destinatari non comprenderebbero. In conclusione, la Parola della creazione è dicibile soltanto entro la categoria della rivelazione. La Parola creatrice giunge a noi non di per se stessa, nessuno per definizione l’ha mai potuta sentir risuonare, ma solo attraverso una comunicazione, di origine divina,  espressa in parola umane.

Siamo di fronte a un paradosso: la Parola creatrice segna la massima differenza possibile tra Dio e l’uomo, il Signore infatti con la sua Parola crea il mondo, mentre l’uomo con il suo dire non chiama all’essere nessuna realtà oggettiva; tuttavia, nello stesso tempo, questa massima differenza può dirsi soltanto all’interno di una comunicazione: quella della rivelazione. Se mi limito a guardare il mondo vedo le stelle, il cielo, il mare, a partire da lì posso dire che c’è qualcuno alla sua origine, ma non posso affermare  che vi è la Parola creatrice.

Nella Bibbia, ma anche nel Corano, vi sono grandi polemiche contro l’idolatria, contro il politeismo, contro le immagini di Dio, o della sfera divina, troppo simili a quelle umane. In altri termini, nella Bibbia si trova una denuncia dell’antropomorfismo. Si respingono le concezioni di Dio fatto a immagine dell’uomo  per affermare  che è l’uomo a essere creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26-27). Sono gli dèi ad aver mani, piedi, corpi, organi sessuali (ci sono dèi e dee). Essi sono all’origine delle cose proprio a motivo della loro diversità sessuale. Le varie mitologie pensano che il mondo sorga così come nascono le nuove realtà sulla terra:  attraverso la sessualità. Quindi anche la sfera divina è sessuale. L’esistenza di una Parola creatrice sta, invece, ad indicare che il rapporto tra Dio e il mondo  non avviene attraverso una produzione sessuale. È una grande differenza che conferma l’alterità di Dio rispetto al mondo. La Parola della rivelazione, che è comunicazione, dice anche una distanza. Dio è diverso dagli uomini, perché la sua parola chiama all’essere partendo dal non essere. Questa affermazione comporta spazzar via la sessualità dalla sfera del divino. La Parola creatrice è anche una forma per dire l’asessualità di Dio. Il rapporto tra Dio e il mondo è un rapporto di alterità. Eppure dichiarare: «Dio disse» (Gen 1,3), per più versi, è anch’essa espressione antropomorfica. Parlare è una caratteristica umana proprio come avere mani, piedi e organi sessuali.

Ecco di nuovo il paradosso: Dio parla la lingua degli uomini per dire loro che Egli è infinitamente diverso dalle proprie creature. Da dove sappiamo dell’esistenza della Parola creatrice? Dalla rivelazione.

Piero Stefani

150 – La parola crea: “Dio disse e il mondo fu” (18.03.07)ultima modifica: 2007-03-17T12:05:00+01:00da piero-stefani
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