142 – Sugli spalti di pace di S. Miniato al Monte (21.01.07)

Il pensiero della settimana, n. 142

 

Anticipo, con un titolo modificato e ampuntato di un breve riferimento al messaggio papale per la giornata della pace 2007 (là opportuno qui superfluo). un articolo che apparirà prossimamente su Regno-attualità. 

 

«Alla fine (be’acharit) dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti». Michea (4,1-3) e Isaia (2,1-5) parlano, all’unisono, il linguaggio dell’avvenire. Essi guardano all’estremo opposto e complementare dell’«in principio» (bereshit). L’inizio dell’atto creativo dà avvio a una storia chiamata a sfociare e  a proseguire nella pace. Il « “dopo” dei giorni» non è né l’eterno, né il «mondo avvenire»: è il tempo che succede alla nostra epoca di violenza. Ecco perché le parole che dicono la volontà dei popoli di salire verso la città posta sul monte e di trasformare le spade in vomeri, le lance in falci, disimparando per sempre l’arte della guerra, hanno alimentato, lungo i secoli, la speranza di una pace possibile.

Una circostanza in cui la parola della profezia antica animò l’azione presente ebbe luogo nella Firenze lapiraniana degli anni cinquanta. Quanto stava a cuore in quel tempo era il binomio civiltà e pace. Già allora, però, si sapeva che ciò poteva essere coniugato solo evocando l’«unità nella diversità»[1]. Opzione che, a propria volta, comportava, come ammonì Charles Journet,  la consapevolezza che «nessuna civiltà sarà mai completamente e perfettamente cristiana» e che «l’identificazione anche solo apparente della Chiesa con qualsiasi civiltà porterebbe a conseguenze disastrose per l’avvenire»[2]. Molte volte, in quei giorni, si alzò la voce di La Pira che evocava Firenze come città «posta sul monte», «nuova Gerusalemme», «città teologale» capace di leggere nella storia i segni di un presente nel quale Dio prepara «l’unità  dei popoli e delle nazioni – nelle diversità delle rispettive vocazioni – al fine di farne una sola respublica e di infondere in essa una nuova luce di bellezza, di civiltà e di fraternità». [3]

All’inizio degli anni sessanta il giorno sembrava alle porte. Le due encicliche  giovannee  Mater et magistra (1961) e  Pacem in terris (1963) accesero nell’animo di La Pira un linguaggio dal registro sempre più profetico. Il primo documento trovò riscontro nel testo Una città posta intorno a una fontana antica. In essa si affermava che il grande moto di unificazione mondiale, che trovava nella liberazione dei popoli  dell’Asia e dell’Africa uno dei punti  cardine, avrebbe portato a un ulteriore processo di «unificazione» della Chiesa, investendo «anche la famiglia d’Israele e di Ismaele». Dal suo canto «l’intersezione della Chiesa nel nuovo unico corpo delle nazioni» avrebbe potuto illuminarlo dall’interno ed elevarlo all’ordine soprannaturale come la lanterna di Dio posta sul candelabro».[4] La Pacem in terris era, a sua volta, colta come l’annuncio millenaristico del nuovo mondo possibile, «segno» e «strumento» di «semina e di mietitura» per «l’edificazione della nuova casa mondiale dei popoli: una casa […] destinata ad ospitare, nella feconda pace e nella articolata unità, l’intera famiglia delle genti».[5] Nel chiosare questa enciclica, definita «manifesto del mondo nuovo», La Pira affiancava, però, agli accenti millenaristici ammonimenti «apocalittici». Il tempo di allora era prospettato come «l’epoca delle due frontiere dell’Apocalisse», lo «spazio storico entro il quale sono ancora parimenti possibili “la pace per sempre” e la “guerra per sempre”». [6]

San Miniato al Monte sta a Firenze come Sion sta a Gerusalemme; non è un altro luogo: è la città stessa nella sua parte più alta. Da là, in giorni in cui delle speranze e delle attese di La Pira, si doveva ormai  parlare al passato, Mario Luzi verga nel 1997 i suoi memori e non rassegnati versi

 

Siamo qui per questo[7]

 

Ricordate? Levò alto i pensieri,

stellò forte la  notte,

inastò le sue bandiere

di pace e di amicizia

la città degli ardenti desideri

che  fu Firenze allora…

Essere stata nel sogno di La Pira

«la città posta sul monte»

forse ancor, l’accende

del fuoco dei suoi antichi santi

e l’affligge, la rode

nella sua dura carità il presente

di infamia, di sangue, di indifferenza.

Non può essere spento

o languire troppo a lungo

sotto le ceneri l’incendio.

Siamo qui per ravvivarne

col nostro alito le braci,

ché duri e si propaghi,

controfuoco alla vampa

devastatrice del mondo.

Siamo qui per questo. Stringiamoci la mano.

Sugli spalti di pace, nel segno di San Miniato.

 

Della pace non è dato parlare al passato neppure quando, nel cuore, si avverte il rammarico, pungente, di una stagione chiusa. Le continue smentite della speranza, l’attesa vibrante di un domani mai diventato oggi sono alla mente della persona pragmatica e realista prove inconfutabili dell’illusorietà della pace, per l’animo, pur non cieco, del poeta esse si trasformano invece in inviti a stringersi le mani e ad alimentare un fuoco che la cenere copre senza estinguere. Forse il ricordo di ieri  non giungerà mai ad essere il nostro domani; tuttavia esso è sufficiente per alimentare l’impegno del nostro oggi.

 




[1] Il volume Unità nella diversità fu edito nel 1957 come numero speciale de «L’Ultima». Per questo e per tutti i successivi riferimenti cf. B. Bocchini Camaiani, «La Firenze della pace negli anni del dopoguerra e del concilio Vaticano II» in M. Franzinelli  e R. Bottoini , a cura di, Chiesa e guerra. Dalla «benedizione delle armi» alla «Pacem in terris», il Mulino, Bologna 2005, 509-538.

[2] C. Journet, L’essence de la civilisation chrétienne  in Civiltà e pace. Atti del primo convegno internazionale per la civiltà e la pace cristiana, Firenze 23-28 giugno 1952, Firenze, L’Impronta 1953, 63.

[3] G. La Pira, Unità e diversità nel corpo delle nazioni in Unità nella  diversità, cit.,  9.

[4]Id., Mater et magistra. Una città  nuova intorno a una fondata antica  in Id.,  Il fondamento e il progetto di ogni speranza.,  a cura di C. Alpigianio Lamioni, P.  Andreoli,  pref, di G. Dossetti,  Ave, Roma,    70-95.

[5] Id.,  Enciclica per il nostro tempo, in Lettera enciclica, Pacem in terris. Testo latino e versione italiana. Scritti introduttivi di  Ernesto Balducci e Giorgio La Pira, Quaderni di «Humanitas», Brescia, Morcelliana, 1963, 15 ,  

[6] Id., Prefazione , in F. Fabbrini,  Tu non ucciderai. I cattolici e l’obiezione di coscienza, Cultura, Firenze 1966, XX.

[7] Ringrazio p. Bernardo Francesco M. Gianni O.S.B. monaco di San Miniato al Monte per avermi fornito il testo.

142 – Sugli spalti di pace di S. Miniato al Monte (21.01.07)ultima modifica: 2007-01-20T12:45:00+01:00da piero-stefani
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