141 – Responsabilità dei propri volti (14.01.07)

Il pensiero della settimana, n. 141

 

Un tempo i catechisti narravano storie. All’origine alcune di esse avranno avuto anche un autore, ma poi i racconti viaggiavano per conto loro, sul filo dell’oralità, subendo varianti e adattamenti. Una storia parlava di un pittore (forse lo stesso Leonardo) che doveva affrescare  una grande parete. Come soggetto era stata scelta l’Ultima Cena. All’inizio del suo lavoro, l’artista  si imbatté per strada in un giovane dall’aria celestiale e trasognata. «Ecco la persona che mi ci vuole per ritrarre Giovanni, il discepolo amato con il capo reclinato sul petto di Gesù», pensò tra sé. Così avvenne. Lavorò per molti mesi alle altre figure, all’ambientazione, allo sfondo. Tutto era in ordine. Mancava però ancora una figura: Giuda. Il pittore non era riuscito a trovare un viso che esprimesse lo sguardo allucinato, carico di avidità e di odio proprio del traditore. Decise allora di frequentare  i bassifondi della città.

Passava da una bettola all’altra, ma non trovava ancora il suo uomo, fino a quando, una sera tardi, scoprì la persona che cercava. Era ancora giovane, ma il suo viso manifestava in ogni tratto un palese rancore nei confronti della vita. Gli fece la proposta dì posare per lui. Sulle prime ricevette uno stizzito rifiuto. Poi, davanti all’offerta di denaro che gli era indispensabile per cercare di placare il suo bisogno di bere,  accettò. La mattina l’artista cominciò a lavorare. Guardava un po’ lui, un po’ il grande affresco ormai quasi completo. Era contento; di lì a poco avrebbe finito la sua grande opera. Non gli importava nulla della vita della persona che stava ritraendo, per lui era solo un Giuda perfetto. A un certo punto  rimase stupefatto: vide delle lacrime scendere sul viso dell’uomo abbrutito. Gliene chiese il motivo; il frequentatore di bettole gli indicò la bella e spirituale figura di Giovanni. Il pittore ebbe un moto narcisistico. Sussurrò: «la mia arte smuove anche i cuori più duri». Fu ben presto smentito; l’uomo infatti, con il groppo alla gola, disse: «quello ero io». Solo allora il pittore si accorse che il colore degli occhi, la conformazione del naso e degli orecchi, lo spessore delle labbra erano gli stessi. Tutto il resto era però deformato, anzi stravolto. Esclamò: « Cosa hai fatto per ridurti così». L’altro rispose: «ho peccato!».

La greve conclusione moralistica fa passare in secondo piano la componente più importante: la responsabilità indiretta che si ha nei confronti del proprio volto. Quando supera una certa soglia, la cura artificiosa rivolta alle proprie fattezze è immorale non tanto per i soldi sacrificati su altari così vani (gli insulti alla povertà conoscono aberrazioni maggiori: il programma nucleare americano tra il 1945 e il 1990 è costato, in valuta attuale, 5,5 trilioni di dollari), quanto perché affida all’esteriorità tecnica un’immagine che raggiunge la propria dignità e il proprio autentico splendore solo se è manifestazione di un riflesso interiore. I moderni idolatri della propria immagine (ormai pressantissimi anche fra i politici) percorrono una via aperta allo stirare, al levigare, al tingere, al riempire. Essi cercano vanamente di lottare contro il tempo. A loro è precluso per sempre il segreto di rendere il trascorrere dell’età un mezzo per acquistare una bellezza compatibile con le rughe e con i capelli grigi.

Nulla come lo sguardo, l’espressione del viso, il sorriso delle persone può testimoniare il bello. Niente, al pari di un volto, può trasfigurarsi; nessun’altra realtà è capace di accendersi all’improvviso per un bellezza sprigionata da quanto si trova nell’animo. A illuminare un volto non è la cura di sé ma la fedeltà al vivere. In quelle circostanze si sperimenta senza tema di smentita come il vero bello trascenda ogni canone strettamente estetico. Si legge nel vangelo: «La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce» (Mt 7,22).Tutto ciò può venire comprovato anche per via opposta: nulla come un viso può degenerare nell’insignificanza, nella piattezza, nella maschera, nell’angoscia, nella deformità, nel rancore.

« “Anna. Era bella e col passare del tempo diventava sempre più bella, perché il volto lo riceviamo da Dio come materiale grezzo, ma poi ce lo scolpiamo da soli. In età adulta dal viso comincia a trasparire l’anima. E lei aveva un’anima bella”. Inizia con queste parole il tributo della Novaja Gazeta dopo la morte della giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa il 7 ottobre scorso a Mosca nell’ascensore, mentre tornava a casa, i sacchetti della spesa in mano» (Il venerdì di Repubblica 12 gennaio 2007, p.46).

 In certe parti del nostro pianeta avere un volto che riflette una bella anima è un motivo sufficiente per essere ammazzati. Ricordarselo è un modo per onorare le vittime e per dire il proprio no al mondo dei Putin imperanti dentro e fuori la Russia.

 Piero Stefani

141 – Responsabilità dei propri volti (14.01.07)ultima modifica: 2007-01-13T12:50:00+01:00da piero-stefani
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