112 – Un bell’oblio non fu mai ricordato (14.05.06)

Il pensiero della settimana, n. 112.

 

Non paia una boutade sostenere che tra le parole dimenticate bisogna porre anche il termine «oblio». Nessuno lo vuole più legittimare. A livello superficiale il suo ostracismo è largamente contrastato con l’ausilio di strumenti estrinseci. Un esempio eloquente è fornito dalle statistiche sportive. Il fatto che, con l’aiuto del computer, tutto sia memorizzabile invita a proporre le enumerazioni più peregrine. Non basta sapere quanti gol ha fatto un calciatore in una stagione, bisogna non dimenticare neppure gli assist, i pali, i calci di punizione, il lasso di tempo medio trascorso tra i suoi gol. Per altri atleti si elencano vittorie, piazzamenti, ritiri, numero di gare fatte o le variazioni tra gli allori raccolti nelle annate precedenti. In breve, si ricorda quanto sarebbe più saggio dimenticare. Tutto perciò sembra assumere ugual valore. L’elettronica, non selezionando e raccogliendo dati (espressione eloquente), ha posto la memoria all’ombra della statistica. Nessuna meraviglia, quindi, che nel lessico comune, per  esaltare la memoria di una persona, la si paragoni a un computer.

Vi è anche un livello più profondo. Un secolo fa la psicoanalisi aveva cominciato a dire che nulla era davvero perduto. La nostra psiche opera come una frettolosa padrona di casa che,  mentre stanno per arrivare gli ospiti,  nasconde la sporcizia sotto il tappeto. Tutto va bene, a patto che  non si celi qualcosa di acuminato. In tal caso il danno sarebbe peggiore del guadagno: il visitatore non vede l’ostacolo, ma può pungersi il piede. Sarebbe gioco forza allora scoperchiare il tappeto e rimuovere, con vergogna, il pattume. Da molti decenni sappiamo che non ci sono zavorre sufficienti per affondare in modo permanente i ricordi. In molti casi l’oblio, ci si dice, non è una soluzione. Anzi bisogna sforzarci di ripescare quanto non sappiamo neppure che esista. Si getta l’amo ma non si sa quale pesce abbocchi, ammesso, e non concesso, che ce ne sia uno. L’oblio ha perduto la sua innocenza; dimenticare ormai è inteso come una scelta attiva che comporta  nascondere qualcosa.

Un terzo ambito riguarda la collettività. Anche in esso non è più consentito dimenticare. Le celebrazioni, i centenari, le rievocazioni, le giornate della memoria si moltiplicano a dismisura. Anzi il loro bisogno è tale che, in più casi, si ricorre  all’invenzione. Non è raro assistere al ripescaggio di palii, sfide, feste medievali mai esistiti. Vi sono specialisti destinati a costruire a tavolino radici etnico-culturali-linguistiche. Spinti alla ricerca di fantomatiche origini si scava nelle viscere della terra  per portare alla luce reperti,  cocci, pietre decorate, graffiti.

 L’universale riferimento alla dimenticanza come sigillo di colpevolezza ha banalizzato anche le asserzioni all’origine più significative. Qualche tempo addietro  aver introdotto l’espressione «guerre dimenticate» ebbe un effettivo significato di denuncia. L’abuso che se ne è fatto ha però fatto perdere a essa mordente. A suo proposito diviene perciò sempre più acuto il paradosso secondo cui quando si attribuisce apertamente a un fatto l’aggettivo «dimenticato» esso non diviene più propriamente tale.  Pure nell’esperienza personale  quotidiana quando si afferma  «ho dimenticato di…» si è di fronte a un colpo di coda della memoria. Finché lo si afferma la vittoria dell’oblio non è completa.  La dimenticanza trionfa davvero solo quando non  ci si accorge neppure di aver scordato qualcosa.

Il procedimento ha un esempio alto, lo si trova nella Bibbia. Quando gli ebrei uscirono dall’Egitto la loro retroguardia fu assalita proditoriamente da Amalek. Quel nome per il più tardo libro del Deuteronomio divenne un’ossessione: «Quando dunque il Signore tuo Dio, ti avrà assicurato tranquillità, liberandoti da tutti i tuoi nemici all’interno della terra che il Signore tuo Dio sta per darti in eredità, cancellerai la memoria di Amalek sotto il cielo: non ti dimenticare» (Dt 25,19). Sei in pace ma devi  ricordarti di antichi nemici. Non dimenticare di cancellare la memoria significa perpetuare per sempre il ricordo. Qui tutto è possibile tranne l’oblio. Fino a oggi, lungi dall’essere stato obliato, Amalek resta il simbolo dei nemici più acerrimi del popolo d’Israele. Non ci se ne è mai più liberati.

Leopardi nei Pensieri scrive che il giovane serio quando entra in società, non di rado, sbaglia per eccesso di scrupolo. Per aprir bocca aspetta di avere da dire cose eccezionali. Perciò è afflitto da una specie di mutismo. L’opzione saggia è invece un’altra: essere disposti a dire per lo più cose comuni per poter affermare, qualche volta, realtà importanti. Lo stesso vale per il ricordo: solo l’accettazione dell’oblio rende selettiva e  impegnativa la memoria.

Piero Stefani

 

 

112 – Un bell’oblio non fu mai ricordato (14.05.06)ultima modifica: 2006-05-13T15:20:00+02:00da piero-stefani
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