104 – A partire dalla voce “carciofo” (19.03.06)

Il pensiero della settimana, n. 104

 

Tutti sanno che cos’è un carciofo. A qualcuno il suo gusto può piacere, altri lo potranno trovare meno gradevole. Ma, come si dice, de gustibus… Se però, per caso, l’occhio cade su una sua definizione che si trova in qualche piccola enciclopedia, le cose mutano: «piccolo arbusto delle Composite con foglie spinate  ai margini e fiori azzurri. Le brattee esterne dei capolini e il ricettacolo sono commestibili». La prima riga, a parte quel «Composite» maiuscolo, non crea particolari problemi, la seconda, invece, risulta, ai più, incomprensibile e implica altre ricerche (brattee, capolini) le quali, a loro volta, esigono altri rimandi. Quanto era conosciuto ci sfugge di mano. Ci accorgiamo di non sapere. La  constatazione non produce però alcuna crescita della consapevolezza socratica. Qui il «sapere di non sapere» non rappresenta alcun decisivo passo avanti sulla via della ricerca. Quanto emerge è piuttosto una perplessità riservata a quel tipo di conoscenza.

Di norma, è bene archiviare la definizione. Si pensa: «Sarebbe meglio che le piccole enciclopedie divulgative non usassero questo linguaggio specialistico». Si tratta di una reazione sana; tuttavia, se si comincia a riflettere, il quadro muta. Le enciclopedie sono una forma di titanismo classificatorio. Esse vogliono ingabbiare tutto imponendo ordine. Se le si scorre il loro effetto è però opposto. Quando sono compatte, ciò risulta più evidente in proporzione alla facilità con cui si leggono le voci. Allora diviene netta l’artificiosità del primo espediente usato per sistematizzare le infinite facce della realtà: la successione alfabetica. In poche righe si passa da ambiti disparati, privi di connessione reciproca. Se si leggessero le enciclopedie come si fa per un libro il senso del caos vincerebbe largamente sull’ordine. La pertinente risposta  sta nell’affermare che questa via è imboccata solo da chi deve affrontare  la variante spettacolare e mass-mediatica del sapere enciclopedico: i quiz televisivi. In effetti è probabile che una fetta del mercato di queste pubblicazioni sia coperta dalla pletora di coloro che tengono più a farsi vedere  che ai soldi (ci sono pochi dubbi che  la gerarchia di coloro che aspirano ad ‘andare in televisione’ vada assunta in questo senso). Per gli altri l’utilizzo di questi sussidi  cade nella sfera della consultazione.

Sono le circostanze a indurci a prendere in mano le enciclopedie. A mettere ordine è, in definitiva, il bisogno e non lo strumento predisposto allo scopo. Quanto risulta irrazionale a una lettura continua diviene pertinente se usufruito a salti. I due approcci, per quanto antitetici,  il più delle volte si integrano a vicenda: le situazioni creano l’interrogativo, la consultazione trova la risposta. Tuttavia il meccanismo si inceppa se su questo terreno spunta un carciofo. Nessuno prende in mano una enciclopedia prima di cucinarlo e di mangiarlo; al più legge un libro di cucina o un menu. La completezza enciclopedica della pubblicazione non può però far mancare la voce. Quando la si legge risulta chiara l’ambivalenza dello sforzo classificatorio proprio della cultura occidentale. Non c’è porzione di realtà che non sia stata ordinata e classificata, dissezionata e catalogata. Anzi, neppure l’immaginario si è sottratto alla catalogazione: angeli, arcangeli, serafini, cherubini, troni, dominazioni…Le bacheche dei musei espongono coleotteri, pesci, molluschi, farfalle e fiori  allo stesso modo in cui, nelle officine, vengono sistemate le chiavi o i cacciaviti: ognuno secondo la propria specie, dal più grande al più piccolo. La registrazione trionfa anche per le società umane: gli antropologi classificano i crani, i burocrati le proprietà e le persone. Nei musei di scienze naturali si ha l’impressione che, per essere classificato, tutto debba essere morto. Anche l’inanimato sembra ucciso: i minerali sono estratti dal loro contesto, strappati dalle viscere della terra, sezionati. Le loro segrete bellezze sono diventate visibili perché li si è scientemente e ordinatamente dissezionate. Lo splendore degli abissi marini è visto solo quando il corallo non vive più o è catturato dall’occhio artificiale delle telecamere. Forse non è così sorprendente che in Occidente anche i genocidi siano stati soggetti alle classificazioni burocratiche.

Dare un nome alle cose è prerogativa adamitica (cfr. Gen 2,20). In ciò vi è un aspetto grande: se, di fronte a un albero, non si sa dire nessun altro nome, manca qualcosa. La precisione linguistica è forma di rispetto. Non esistono alberi, ci sono pini, querce, betulle, olmi, faggi, lecci… Eppure la classificazione, portata agli estremi, cade nel titanismo della razionalizzazione. La  precisione, rispettosa allorché è accogliente, diviene mortifera quando la classificazione pretende di essere più reale del reale. La regola aurea della burocrazia svela il capovolgimento: per il funzionario la carta di identità è più vera della persona in carne e ossa che gliela sta mostrando.

Piero Stefani

 

 

104 – A partire dalla voce “carciofo” (19.03.06)ultima modifica: 2006-03-18T16:00:00+01:00da piero-stefani
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