102 – Questioni di lungo periodo (05.03.06)

Il pensiero della settimana, n. 102

 

La distanza storica sottrae i grandi drammi all’esistenza per consegnarli ai libri. Il saccheggio di Roma da parte di Alarico è un avvenimento che si impara (o imparava) a scuola che non suscita più negli animi alcuna emozione. Per rispondere allo sconcerto connesso a quella notizia,  Agostino ha invece scritto un libro enorme, il De civitate Dei, che  proponeva una lettura teologica dell’intera storia umana.

I visigoti non sono più tra noi. Essi costituiscono uno dei tanti rivoli che hanno formato il fiume dei popoli europei. Altrettanto non può dirsi per il mondo musulmano. Poco più di mille anni dopo le imprese di Alarico, la città dai tre nomi,  Costantinopoli, Bisanzio, Istanbul, suscita ancora problemi. Altrettanto può dirsi per la trasformazione in moschea di una delle somme basiliche della cristianità: S. Sofia. A Roma la grande cupola forata del Panteon ricopre altari cattolici, a Istanbul dove c’era la cattedra patriarcale vi è ormai da secoli un minbar (il luogo dove si pronuncia la predica – khutba – musulmana). Gli dèi pagani sono morti. I barbari sono stati inseriti nella storia cristiana. Là dove c’era il paganesimo – si diceva – deve subentrare il cristianesimo. Questa convinzione divenne una grande forza di fronte alle popolazione barbariche germaniche, franche, angle, ungare, slave e una grande debolezza davanti all’avanzata dell’islam. Per secoli aleggiava l’incubo di dover ripetere: là dove c’erano terre cristiane ora domina l’islam.

La caduta di Bisanzio in una cristianità divisa tra Oriente e Occidente non trovò alcun Agostino capace di tracciare quadri interpretativi onniabbraccianti. In Oriente la replica più efficace la si trovò nella visione sostitutiva di Mosca come terza Roma: nella storia cristiana vi è un continuo passaggio della fiaccola della fede, eppure chi la ha attualmente in mano si crede sempre l’ultimo tedoforo. Alla terza Roma non sarebbe subentrata una quarta. Nell’occidente cristiano una delle ragioni dell’incapacità di elaborare una risposta teologica fu dovuta all’influsso della lettura agostiniana della storia. In quel quadro il Turco poteva essere facilmente interpretato, come in Gioacchino da Fiore,  solo come un flagello apocalittico, vale a dire come uno sconvolgente passaggio escatologico e non come una presenza che segna in modo permanente la storia.

Nicolò Cusano, mente sottile e profonda, davanti a quell’avvenimento non riuscì a proporre nessuna teologica della storia. Si limitò a una replica oscillante. Scrisse un  breve testo dialogico, il De pace fidei, in cui, agostinianamente, si riteneva che le religioni potessero accordarsi tra loro facendosi forti del fatto che ogni persona ha, nella propria anima, un’impronta della Santissima Trinità. Stese però anche una ampia, puntigliosa e storicamente poco significativa confutazione del Corano (Cribatio Alcorani). In sostanza la replica occidentale all’espansione ottomana, da Lepanto a Vienna, avvenne tutta sul piano dei fatti. Un sospiro di sollievo vi fu solo quando, terminata la lunga fase di contenimento, con l’età dell’imperialismo l’Europa riuscì a rendere proprie colonie terre musulmane e a travolgere l’impero ottomano catturandolo nell’immane gorgo della Prima guerra mondiale. L’islam era di nuovo ricacciato ai margini della storia.

Essendo tornato, negli ultimi decenni, al centro delle vicende mondiali, la risposta è di nuovo lasciata in massima misura ai fatti (di segno contrapposto) o a gesti di buona volontà. Anche da parte delle Chiese i parametri restano i medesimi: si riesce a dialogare con alcuni musulmani, ma non si è elaborata una lettura teologica condivisa dell’islam. In ciò il concilio Vaticano II non fa eccezione.

Essere orfani di una teologia cristiana dell’islam è per le Chiese vuoto incolmabile. L’appello alla comune figliolanza di Abramo, tutti lo sanno, è poco più che buona retorica interreligiosa che non trova seria corrispondenza nelle singole fedi. Le reciproche visioni che si hanno del padre dei credenti sono infatti troppo contrastanti perché possano fornire una base comune. In questo contesto si muove meglio chi sa compiere gesti positivi e conciliativi che si propongano come prolessi di una teologia inesistente. Su questo terreno il carisma di Giovanni Paolo II fu veramente tale. Incapace di gesti e privo di teologia interreligiosa Benedetto XVI resta incapace di aperture significative in questa direzione (cfr. l’articolo di Politi su La Repubblica  del 3 marzo u.s. p. 21). È dunque fondato il sospetto che la decapitazione del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso (qualificante nomina negativa compiuta dall’attuale papa) rappresenti una presa d’atto di questa mancanza. L’unico terreno su cui confrontarsi è quello della civiltà e delle culture, non quello delle fedi. Il che – se ne sia o no consapevoli – costituisce un processo di secolarizzazione che, per quanto volto verso l’esterno, comporterà una inevitabile ricaduta anche verso l’interno. Agendo in tal modo si accredita, di fatto, la precomprensione secondo cui il cristianesimo non sia altro che la voce morale dell’Occidente. Prospettiva che piace all’attuale presidente del Senato, ma che dovrebbe turbare ogni autentico credente.

Solo l’esame delle ragioni di fondo della costitutiva debolezza teologica cristiana  nei confronti dell’islam può dare di nuovo alle Chiese un respiro di lungo periodo. In fin dei conti non è neppure difficile trovarne la radice prima. Essa si colloca nella impropria giustificazione teologica della cristianità vista come realizzazione legittima del Vangelo. Questa convinzione, a sua volta, è fondata sulla visione sostitutiva propria di una Chiesa che si è intesa come nuovo Israele, cioè come il nuovo popolo eletto a cui come terra promessa è stato assegnato il mondo intero. Solo la revisione radicale di quel nodo potrà liberare la teologia cristiana dal complesso di inferiorità di cui tuttora soffre nei confronti dell’islam. Tuttavia nulla lascia presagire che Benedetto XVI abbia la forza di procedere su un cammino ignoto persino al suo predecessore.

Piero Stefani

102 – Questioni di lungo periodo (05.03.06)ultima modifica: 2006-03-04T16:10:00+01:00da piero-stefani
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