95 – Precarietà (15.01.06)

Il pensiero della settimana n. 95

 

Secondo dati ufficiali nel 2004 gli stranieri presenti in Italia con regolare permesso di soggiorno  erano  1.990.159.  Alle loro spalle ci sono però situazioni così diverse da rendere, in fin dei conti, poco significativo  definirli per semplice negazione ‘non italiani’. I loro tipi di inserimento sono diversissimi. Poi c’è un numero imprecisato di irregolari

Alcune modalità di questa presenza sono ben visibili. Una di esse è la dimensione legata all’età della vita. La nostra società, contraddistinta da un numero crescente di anziani e da un numero decrescente  o stazionario di bambini, fa emergere la presenza straniera nei due estremi sovrabbondanti o deficitari dell’arco della vita: da un lato l’assistenza alle persone anziane o malate e,  dall’altro, i bimbi che frequentano asili e scuole elementari. Lì la vita di tutti i giorni è toccata  e ridefinita in modo sempre più vasto. Rispetto all’assistenza si acquista sul mercato del lavoro quanto un tempo era affidato a famiglie plurigenerazionali e a donne chiamate (o condannate) ad assumere lo spazio domestico come l’universo globale della loro esistenza. I precari dal punto di vista sociale, culturale ed economico accudiscono (ma stando al sostantivo oggi in uso, si dovrebbe impiegare il più crudo verbo badare) coloro che gli anni o le malattie hanno reso precari. Questa doppia precarietà  non impedisce che si creino legami umani sinceri ed intensi e tuttavia anche essi non sono tali da uscire dalla cifra della precarietà: le persone vecchie  o malate hanno un prospettiva di vita breve, terminato il bisogno i nessi sono destinati a scindersi. Se ne costituiranno altri ma anch’essi di non  lunga durata. Inoltre per molti (e soprattutto molte) la permanenza nel  nostro paese è volutamente temporanea.

Se l’assistenza contribuisce alla stabilizzazione delle proprie condizioni di vita, altre forme di presenza di stranieri marginali contribuisce a rendere più precarie altre zone della società. La sicurezza dei propri possessi è meno garantita sia che si viva in una villa isolata e lussuosa, sia che si giri con borse, borsette o portafogli non perennemente vigilati o custoditi in anfratti sempre più interni, sia che si parcheggi qualche mezzo di trasporto personale. Questa precarietà colpisce  anche chi, su altro fronte, è garantito da un differente tipo di presenza straniera  Chi trae vantaggi dalla presenza di  stranieri marginali rispetto al suo essere datore di lavoro in famiglia o in attività agricole, artigianali o industriali o dal suo essere cliente del mercato della prostituzione o delle droghe, manifesta, anche politicamente, una globale ostilità contro  presenze che rendono più instabili i rapporti con i propri beni.

Percentuale  rilevante nella statistica complessiva, la presenza di extra-comunitari diventa ben più intensa in alcuni luoghi meno generalmente visibili. Solo un numero ridotto di italiani frequenta i sempre più rari treni notturni. Lì la percentuale degli stranieri sale vertiginosamente, ma pure la precarietà è alta. Verso mattina, al cambio di personale ferroviario, è norma sentire  chiedere quanti furti ci sono stati nella notte. Dove la presenza extracomunitaria è statisticamente più alta è però un luogo sottratto per definizione alla vista: le carceri. Più di un terzo dei circa sessantamila detenuti è costituito da stranieri. In certe prigioni la percentuale è ancor più alta. Le conseguenze dell’entrata in vigore di leggi come la ex-Cirielli faranno crescere ancora in valore assoluto e percentuale il numero dei carcerati extra-comunitari. Le prigioni sono sovraffollate  al punto da compromettere oggettivamente la dignità della persona, principio che dovrebbe essere posto al centro del nostro ordinamento giudiziario. Misure di amnistia o indulto sono respinte in parlamento. Esse, peraltro,  inciderebbero poco sui più precari tra i detenuti i quali, una volta messi in libertà, verrebbero espulsi dal paese verso condizioni ancor più instabili. La mancanza di prospettive  per il dopo carcere vanifica ogni incentivo volto a favorire la «buona condotta». A sua volta l’insieme di tutti questi fattori aumenta la precarietà delle condizioni di vita dei nostri penitenziari.

I frammenti di pensiero sopra esposti sono pennellate di un quadro non dipinto. Per tracciarlo occorrerebbero ben altre capacità di analisi, altri strumenti, altro sussulto di coscienze. Bisognerebbe convincersi che tentare di comprendere è un’impresa che non ha mai fine e che, quindi, non può essere  acquietata affidandosi all’egemonia di sedicenti valori immutabili. Cercare di capire questa società inedita è un impegno etico molto più arduo e qualificante che ripetere generici appelli in difesa della vita. Per conseguire l’apice dell’ardimento intellettuale non basta scagliarsi indistintamente contro la cultura della morte.

 Piero Stefani

95 – Precarietà (15.01.06)ultima modifica: 2006-01-14T16:45:00+01:00da piero-stefani
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