91 – Non c’è peggior sordo…. (18.12.05)

Il pensiero della settimana, n. 91

 

Si fa un gran discutere di laicità. Il centenario della legge francese del 1905, preparato da tempo, è stato addirittura coronato dalla promulgazione di una dichiarazione universale sulla laicità. Se si mette in conto la diversità abissale che esiste tra le società di un secolo fa e quelle odierne, tanto interesse desta un briciolo di stupore. Il confronto risulta palese se si guarda alla presenza delle religioni. L’Europa dei primi del Novecento conosceva da un lato cristiani di varie specie ed ebrei, dall’altro marxisti, anarchici o radicali atei o agnostici. Inoltre esisteva qua e là qualche intellettuale misticheggiante preso dal fascino dell’esoterismo. Quanto ai musulmani essi si trovavano solo nei Balcani o nelle ambasciate ottomane.

Inutile sottolineare che il quadro oggi è del tutto mutato. Il tramonto dell’anarchismo e il più recente crollo del marxismo hanno consegnato alla marginalità gli atei professanti, a loro modo troppo irrimediabilmente legati a una fede per durare in un’epoca di poche certezze. Ben diverso è lo stato di salute, ottimo, del cosiddetto ateismo pratico tanto diffuso da poter accogliere nel suo vasto seno anche qualche saltuaria devozione. I musulmani in Europa sono molti milioni. Religioni orientali, esoterismi e sette di varia natura sono diventati fenomeni di massa. Dall’est Europa si sono trasferiti a ovest milioni di persone di antica o riscoperta fede ortodossa. In seguito alla Shoah e alla nascita dello Stato d’Israele l’ebraismo non è più quello di prima. Dopo il concilio Vaticano II e dopo il lungo e globale pontificato di Giovanni Paolo, la continuità di parecchie strutture non impedisce al cattolicesimo di presentarsi in modo molto diverso da qualche decennio fa.

Nonostante tutti questi mutamenti i dibattiti sulla laicità, almeno in Italia, sembrano avere tuttora come loro stella polare il cavouriano «libera Chiesa in libero Stato». Al di là delle varie posizioni, il nucleo del discorso è fatalmente ricondotto ai rapporti Stato-Chiesa. Per questo motivo, sull’una e sull’altra sponda, la temperatura  raggiunge il calor bianco soltanto quando c’è di mezzo il cardinal Ruini. Da un lato infatti vi è chi lo accredita di un alto magistero morale e di una sagacia politica senza pari nel dar voce all’ethos profondo del popolo italiano, dall’altro c’è chi, pur esternando tutto il suo rispetto per l’insegnamento morale, si straccia le vesti per le indebite incursioni politiche del porporato. Non sono banalità. Tuttavia è un abbaglio ritenere che si stia toccando il cuore della questione: pensarlo sarebbe indice di un ritardo culturale irrimediabile. Eppure questo contesto costringe ancora a combattere battaglie di retroguardia come quella relativa al superamento dell’ora di religione confessionale.

Che l’IRC sia destinata a una morte lenta ma inevitabile lo si sarebbe dovuto capire almeno da quando una sentenza della Corte costituzionale ha assoggettato la frequenza dell’ora di religione a una pura opzionalità priva di contrappesi. In Italia questo insegnamento cultural-confessionale è stato introdotto in virtù di un regime concordatario oggettivamente antitetico alla scelta liberale della separazione tra Stato e Chiesa e alla convinzione (ugualmente liberale) di consegnare la religione alla sfera individuale. Al cattolicesimo è stata ridata voce in qualità di apportatore di valori civili e culturali e di custode fedele di tradizioni che hanno segnato la storia patria. Con il passare del tempo l’ora di religione cattolica ha accentuato – almeno in linea di principio – la sua dimensione culturale; ciò avrebbe dovuto comportare il rafforzamento dei motivi che la rendono valida per tutti. Più e più volte si è fatto però notare che questa pretesa valenza generale è minata dal rigido controllo confessionale a cui sono soggetti programmi, testi e docenti. Più raro sentir affermare che essa è insidiata anche dal versante opposto che espone l’ora di religione alla scelta di avvalersene o di non avvalersene. Quest’ultima clausola può essere pensata solo all’interno di una visione liberale la quale quando, obtorto collo, è costretta a concedere uno spazio pubblico alle religioni non riesce a immaginare altro ambito che quello confessionale. Visto che non se ne può fare a meno: «libere Chiese in libero Stato». La convinzione liberale che lo Stato debba tenersi alla larga dalla sfera delle religioni è in qualche modo compatibile con il confessionalismo, ma è un ostacolo insormontabile  alla crescita di una cultura religiosa capace di inserire questo fondamentale capitolo nella formazione di ciascuno. Eppure solo menti ottuse o preconcette possono sottovalutare l’importanza rivestita dalla cultura religiosa per la comprensione del mondo passato e presente.

La difesa cattolica di fronte alla normativa attuale sta tutta nelle statistiche. Esse si presentano come il dato più obiettivo. In realtà sono tra le realtà più opinabili. Lo sono perché generiche e non sufficientemente articolate (in parecchie scuole secondarie superiori la quota dei non avvalentisi è tutt’altro che trascurabile).Tuttavia la loro deficienza strutturale si trova soprattutto altrove, vale a dire nel loro intrinseco carattere quantitativo. Del resto tutti sanno che se l’IRC fosse sottoposta a una qualsiasi verifica qualitativa i risultati sarebbero disastrosi: di norma, dopo tredici anni di insegnamento, quel poco che gli studenti sanno di religione è dovuto a fonti diverse dall’ora istituzionale. I baluardi confessionali, l’ingiustificata titubanza della cultura laica nell’entrare in questa riserva di caccia, la facilità con cui i pochi battitori liberi si lasciano sedurre dalle sirene ecclesiastiche (a Milano per un noto filosofo è stata coniata la pungente espressione di «ateo di curia»), non meno degli sguaiati e anacronistici strepiti laicisti lasciano, per ora, dormire sonni abbastanza tranquilli al monopolio confessionale sulle religioni. Tuttavia nei fatti vi è una logica  impossibile da sopprimere. I tempi saranno lunghi, ma prima o poi ci si renderà conto che una indagine culturale, laica, esigente e consapevole sulle religioni è componente imprescindibile per l’evolversi positivo della convivenza civile.

Il fondamentalismo va battuto prima di tutto sul piano culturale. Diffondendo quest’approccio risulterebbe insostenibile il concetto di rivelazione letterale e fattuale che sta alla base di questo movimento. Cosa succederebbe se gli studenti musulmani nelle nostre scuole apprendessero grazie a un insegnamento comune e obbligatorio dell’esistenza della critica biblica? In principio potrebbero dire: «visto? avevamo ragione noi, quei testi sono manipolati». Tuttavia con il passare del tempo il dubbio si insinuerebbe e diverrebbe impossibile per loro stessi credere che il Corano si sottragga a ogni critica storica. Non sarebbe un guadagno da poco. Allo stato attuale però la stessa esistenza della critica biblica – pur approvata dalla Chiesa cattolica – è ignorata da quasi tutti.  Per ora per sconfiggere culturalmente l’estremismo non si è riusciti a scovare altra via che indire opinabilissime  tavole rotonde interreligiose.

Piero Stefani

91 – Non c’è peggior sordo…. (18.12.05)ultima modifica: 2005-12-17T08:10:00+01:00da piero-stefani
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