89 – Sette pensieri (04.12.05)

Il pensiero della settimana n. 89 

 

Nelle società odierne 35 anni non sono più il «mezzo del cammin di  nostra vita». Molto è alle spalle, eppure a quell’età la maggior parte delle persone si trova ancora in vari campi (probabilmente troppi) alle prese con un inizio, o addirittura con un pre-inizio (maternità, paternità, spesso anche lavoro…). Invece di essere «nel mezzo» è come se si tenesse contemporaneamente i piedi nei due estremi della giovinezza e della maturità: equilibrio instabile.

 

Conoscere se stessi non è mai facile, prevedere le proprie reazioni in circostanze fino ad allora mai vissute è ancor più arduo. Al massimo le si può immaginare, in tal caso si tratta però di presente e non già di avvenire. L’immaginazione proietta semplicemente in avanti quel che  si è ora; perciò inganna.

 

 

Nell’età della tecnica il giudizio morale rischia di essere fondato più sull’errore che sull’intenzione (la quale si presenta al più come un’aggravante). Anche con il senno di poi  non ci si emancipa dal dominio del «come». L’antica ammissione «ho peccato» lascia sempre più il campo a un’altra: «ho sbagliato». A differenza della prima  la seconda resta chiusa in una logica strumentale.

 

La tecnica mira a modificare la realtà. Si  può mutare solo quanto non è rifiutato in toto. Le tecniche mediche prolungano la vita – o la sopravvivenza – solo perché accolgono la morte come destino ultimo e insuperabile della condizione umana. Ciò le rende efficaci. Chi pronuncia un «no» netto e senza compromessi al male è personaggio singolare. Chi resta fedele alla scelta di proclamare tale l’inaccettabile si colloca in un dominio che va dalla stravaganza alla follia, dal suicidio alla santità. Il profeta Abacuc, rivolgendosi a Dio, domandava: «Tu dagli occhi così puri che non puoi  vedere il male e non puoi guardare l’iniquità perché, vedendo i malvagi, taci mentre l’empio ingoia il giusto?» (Ab 1,13). La conclusione è un irrisolto interrogativo sul perché, la prima parte è una descrizione senza uguali della santità di Dio. Il dominio della tecnica coincide esattamente con l’atto di ottundere la lama del «perché» e di rifugiarsi nel «come», vale a dire nella parziale accettazione dell’esistente in ragione della sua modificabilità.

 

«Credo quia absurdum» espressione filologicamente poco corretta e non priva di risvolti discutibili. Nel nostro tempo è però dotata di una forza quasi insostituibile. Essa rende paradossalmente ‘ragione’ della non fondatezza razionale dell’atto di credere e quindi induce al rispetto e alla comprensione nei confronti di coloro che non compiono il salto della fede. L’apologetica che vuole individuare la ragionevolezza della fede a partire da motivi, domande e inquietudini universalmente condivisibili rende gli altri copia sbiadita di se stessi. Così facendo mina di fatto non solo il senso del dialogo ma anche quello della dignità umana accolta nella sua accezione più alta.

 

Proust afferma che il viaggio più vero si compie attraverso la letteratura. Quest’ultima consente di vedere la realtà con gli occhi degli altri, mentre quando si viaggia di persona non si può mai mutar occhi; per forza di cose si continua a guardare con i propri; la modifica è dei luoghi non dell’osservatore. Se si ascolta si può però cambiare orecchi: la voce degli altri giunge a te e se l’accogli tu stesso muti in virtù di quell’incontro. Ma, si sa, è proprio del turista guardare e assaggiare, mentre gli è precluso l’ascolto.

 

A metà Ottocento la Chiesa del Sillabo diceva che non si può separare lo stato dalla vera religione, la cattolica romana, altrimenti i retti principi cadrebbero preda dell’indifferentismo, figlio diretto del liberalismo e della democrazia. Ai primi del XXI sec., la chiesa cattolica in sostanza afferma: occorre separare le religioni, le chiese dallo stato, ma sono io in prima persona la detentrice di insegnamenti che valgono per tutti in quanto corrispondono a quanto Dio ha scritto nelle coscienze di ciascuno: essi sono di per sé vincolanti ma io autorevolmente li ribadisco e li riconfermo nella loro universalità, perciò posso intervenire nelle cose pubbliche quando l’eticità è minata dal relativismo.

 La differenza tra i due estremi non è da poco, ma neppure la continuità è fittizia.

 Piero Stefani

 

89 – Sette pensieri (04.12.05)ultima modifica: 2005-12-03T08:20:00+01:00da piero-stefani
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