88 – La parabola di Porto Tolle (27.11.05)

Il pensiero della settimana, n. 88

 

Una stessa sorgente d’acqua può dar luogo a rivoli diversi. I ruscelletti scorrono l’uno a fianco all’altro e nel loro tragitto sembra che non abbiano nulla di comune. In effetti da una parte la corrente gorgoglia festosa, dall’altra il corso d’acqua scorre placido e cristallino, da un’altra ancora imputridisce e ristagna. A monte c’è però la stessa fonte. Una domanda nasce allora spontanea: è più importante quanto accomuna, (l’origine) o quanto distingue (il percorso)? La risposta più comprensiva sarebbe: l’uno e l’altro. Tuttavia la faccenda non è così semplice. Se persino negli stessi fiumi scorrono acque sempre diverse, come si fa ad attribuire un peso risolutivo alla constatazione che in rivi differenti defluiscono le stesse acque? Non è quindi secondario stabilire quale torrente nel suo crescere sia stato più fedele – o meno infedele – alla originaria purezza. Anche le acque inquinate derivano da lontane sorgenti, dipendono da esse ma hanno ormai ben poco della loro primigenia, cristallina trasparenza. Non a caso negli ultimi anni una laica e padana liturgia riempie l’ampolla alle falde del Monviso e non a Porto Tolle

La storia del pensiero ha sperimentato molte volte sviluppi (o involuzioni) simili a quella appena descritta. Il far memoria di una comune origine richiede prima di tutto due presupposti: primo, sapere che non si è gli unici eredi della sorgente e accorgersi dell’esistenza di altri corsi d’acqua; secondo, valutare in proprio, rispetto al puro zampillare delle origini, quanto si è perduto e quanto si è acquistato. Il procedere vale in molti ambiti; tuttavia questo è un campo in cui le tradizioni religiose dell’occidente potrebbero non arbitrariamente rivendicare un ruolo di modello esemplare per l’intera società. Esse infatti, più di ogni altra realtà collettiva, hanno individuato, patito e fatto tesoro della constatazione che la propria immagine attuale va confrontata con il puro specchio delle origini. In esso le religioni vedono quanto hanno perduto e quanto hanno guadagnato. Di norma questa operazione individua sia acquisti che dissipazioni. Non è mai comunque di un procedere agevole e spesso più che unire essa ha arrecato nuove divisioni. Tuttavia in ciò vi sono molti stimoli. Non per nulla le riforme religiose assumono di solito l’andamento di ritorno alle origini. Se ne era accorto già Machiavelli quando parlò di Francesco e di Domenico e del loro aver ridato fiato a una chiesa ormai ben poco memore del suo inizio. La serietà dell’operazione porta con sé tensioni, scontri e forse altre scissioni. Bisogna liberarsi di continuo da fattori inquinanti. Si deve però restare sempre e comunque consapevoli che il corso del fiume non può essere invertito. Tutti i tentativi di andare contro corrente e di spingersi indietro fino a toccare la sorgente primigenia hanno assunto inevitabili aspetti settari.

Muovendosi nel suo ambito specifico quarant’anni fa il concilio Vaticano II ha dato una prova alta di essere consapevole di queste istanze. In particolare lo ha fatto nel modo in cui ha parlato degli ebrei. Non si è lasciato perciò prendere dall’illusione di risalire indietro di venti secoli. Piuttosto collocandosi là dove si trovava si è guardato dentro e ha scoperto di non essere solo. All’inizio del n. 4 della dichiarazione Nostra Aetate si legge: «Scrutando il mistero della Chiesa, questo sacro concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato alla stirpe di Abramo». Osservando se stessa si scopre l’altro e ciò avviene proprio in ragione di una comune origine.

Quanto è richiesto non è il tentativo di risalire a fonti ormai lontane, ma la volontà di rendersi conto che le attuali acque derivano da quelle sorgenti: ora bisogna cercare di vedere cosa di esse è stato tradito. Ciò comporta impegnarsi per liberarsi dai materiali inquinanti che ammorbano l’acqua. Nello stesso tempo l’operazione rende però consapevoli dell’apporto arrecato da molti altri affluenti. Per ritornare alla parabola padana i conti vanno fatti sempre a Porto Tolle e non al Monviso. È alla foce che va ricordata la sorgente. Da quest’ultima posizione ci si accorge per forza di cose che ci sono stati molti apporti. Nessuno può definirsi soltanto in base a se stesso. La riscoperta di sé coincide con quella dell’altro. In questo caso guardarsi dentro, lungi dall’essere atto autoidentitario, si rivela l’unica consapevole via per comprendere che l’essere all’altezza del proprio compito richiede: capacità di autocritica, ammissione della propria infedeltà, fiducia di ritrovare in sé tracce ancora vitali della propria origine e occhi spalancati sul fatto che l’esistenza dell’altro attiene alla definizione di se stessi.

Piero Stefani

88 – La parabola di Porto Tolle (27.11.05)ultima modifica: 2005-11-26T08:25:00+01:00da piero-stefani
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