72 – No news bad news (26.06.05)

Il pensiero della settimana,  n. 72 

Vi sono proverbi antichissimi che reggono ancora. «Una rondine non fa primavera» è un detto contenuto nelle opere di Aristotele da tutti tuttora avvertito come attuale. Altri modi di dire suonano desueti ma ancora comprensibili. In questo ambito va inserito, per esempio, «chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi». Probabilmente chi lo usa  ha un rapporto con i bovini solo quando questi ultimi sono trasformati in bistecca, tuttavia il proverbio lo si capisce ancora benissimo. Altri detti si stanno appannando; la loro rispondenza nella società è infatti sempre più labile. È il caso – per non spostarci dagli animali appena citati – di «donne e buoi dei paesi tuoi», espressione che si attaglia solo a qualche xenofobo smanioso di tutelare le proprie più o meno fittizie radici.

Tra i modi di dire che stanno andando fuori corso ve ne è anche uno inglese divulgato con una certa frequenza anche nella sua versione italiana: «No news good news»; «nessuna nuova buona nuova». Il suo anacronismo non è imputabile al fatto che le notizie ora siano per lo più positive; anzi ci pare piuttosto vero il contrario. L’impallidirsi della pregnanza di questo vecchio detto trova  riscontro in un altro fatto, vale a dire nella constatazione che la mancanza di nuove provoca ormai ansia o preoccupazione. Il silenzio non è più rassicurante. Esso provoca piuttosto inquietudini e fa germinare  ipotesi sempre meno favorevoli  e, alla lunga, addirittura infauste. La ragione di ciò è facile da scoprire: si tratta di una conseguenza della pletorica crescita dei mezzi di comunicazione personali.

I primi scricchiolii della serenità legata alla mancanza di notizie la si deve ai telefoni fissi. Si è trattato di una crescita lenta. Quando i telefoni erano scarsi, le interurbane laboriose e numerosi i luoghi non ancora raggiunti dalle linee, il non ricevere una telefonata poteva essere ancora un buon segno. Se si era in vacanza al mare e ancor più in montagna, spostandosi per i rifugi, potevano passare parecchi giorni senza comporre alcun numero telefonico. Il pensiero delle persone amiche era affidato alla cartolina: pratica non scomparsa, ma di certo ridimensionata. Quando arriva una fotografia accompagnata sul retro da saluti e firme ci si rende subito conto dell’esistenza di una distanza spazio-temporale: il paesaggio non è quello che vediamo dalle nostre finestre e la data in cui sono state scritte quelle righe risale a giorni addietro. La cartolina è molto più un ricordo che una news (al più, con debita calma, informa qualcuno che si è stati in un posto). La sua mancanza non genera assillo e quando giunge  non ci attendiamo che ci comunichi notizie decisive.

Con la telefonia mobile tutto è repentinamente mutato. Per non pochi il telefonino è diventato una specie di protesi fissa o un compagno con cui appartarsi quando si è in mezzo agli altri. In quest’ultima situazione ci si esercita nell’arte della digitazione  oppure, non  di rado, si dà prova di un’impudicizia degna di un talk show televisivo. Tuttavia il cellulare ha moltiplicate le ansie anche in persone più moderate non propense a queste esasperazioni. Il fatto di essere ovunque raggiungibili fa sì che quando la voce non giunge perché il telefonino è spento, o perché c’è la segreteria o peggio ancora perché suona ma nessuno risponde, la reazione è univoca:  un brivido di inquietudine passa per la schiena. «Perché non ha chiamato?», «L’avrà scarico?»,  «Quel ‘disgraziato’ poteva almeno farsi vivo!»,  «Non gli sarà mica successo qualcosa?». Solo allora da qualche remoto angolo della memoria affiora il vecchio e confortevole: «nessuna nuova, buona nuova». Si tratta però di un proverbio che convince assai poco e non si stacca dall’essere un tentativo di pura autoassicurazione.

Il biblico Qohelet sentenziava: «i moltiplicare la scienza è moltiplicare l’affanno»  (Qo 1,18). Un Salomone contemporaneo potrebbe dire «chi moltiplica le notizie moltiplica l’ansia». Ciò vale per il mondo grande dei mass media che ci lega alle nuove dell’intero orbe terracqueo. Le rare volte in cui le notizie cessano, il senso di tranquillità viene insidiato da una sotterranea sensazione di star compiendo una specie di tradimento  della propria responsabilità verso il mondo. A poco a poco la serenità lascia il posto all’ansia della non notizia. Nelle sfera privata le dinamiche non sono diverse. La cessazione non è più rassicurante. Non riusciamo più neppure a immaginare altre epoche in cui per lunghi mesi non si sapeva nulla dei propri cari e questa non nuova godeva di una pregiudiziale positiva. Le notizie sono diventate bisogni primari della nostra psiche.

Piero Stefani

 

72 – No news bad news (26.06.05)ultima modifica: 2005-06-25T09:45:00+02:00da piero-stefani
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