54 – Il tavolo delle religioni (20.02.05)

Il pensiero della settimana n. 54 
Forse per strane  vie la massima di Hans Küng  stando alla quale non c’è pace tra le nazioni se non  ve ne è tra le religioni è giunta anche agli orecchi del ministro Pisanu. Sta di fatto che tempo addietro il Ministero degli interni ha diffuso una circolare che impone ai prefetti di istituire in ogni provincia dei «tavoli delle religioni». Lungo tutto lo Stivale funzionari che hanno nel loro DNA una visione di stato laico e accentrato si sono trovati quindi di fronte all’inedito compito di essere organizzatori di incontri interreligiosi. Esperti di ordine pubblico, in genere scarsamente sensibili alla società civile e ignari di religioni, i prefetti, presi alla sprovvista, rivolgono lo sguardo più in basso nella scala gerarchica e affidano a capi di gabinetto o a dirigenti inferiori – peraltro anch’essi all’oscuro di cose religiose – il compito di organizzare questi incontri.

Gli incaricati non sanno che pesci pigliare e chiedono a loro volta aiuto a istituzioni che li possono guidare nel labirinto. Si rivolgono al vescovo come loro primo consigliere, alla Digos per sapere qualcosa sui musulmani, all’Università per avere una patente culturale di prestigio. Poi  si mettono a mendicare informazioni altrove per sapere se nella loro zone di competenza vi siano altre comunità religiose: non ci sarà per caso qualche protestante, qualche ortodosso? E che facciamo con i  buddhisti? Loro però sono nonviolenti e possiamo trascurarli. Di loro curia vescovile, Digos e università nulla sanno. Ma in fondo quanto davvero  importa è coinvolgere  i cattolici e i musulmani  che sono tanti e gli ebrei i quali c’entrano sempre.

Come modello di riferimento ci sono i grandi incontri papali di Assisi (prolungatisi di anno in anno in virtù dell’attivistico appalto concesso a San Egidio).Tuttavia non vanno trascurate le simpatiche e innocue iniziative dei festival gastronomico-religiosi che mettendo tutti a tavola e mescolando, come fossero ingredienti, religioni e cultura facendo credere che la cucina egiziana, marocchina o pakistana sia islamica, ma ben guardandosi dal porre in evidenza sgozzamenti e dissanguamenti imposti dalla sharia.

A quanto sembra così sarà anche a Ferrara. In aprile è previsto un incontro all’Università in cui vescovo, rabbino, rappresentante musulmano e forse qualcun altro  diranno che le religioni sono fonti di pace e non di ostilità per poi concludere il loro incontro dando un saggio a un  pubblico, convocato e impreparato su quali siano le loro rispettive preghiere, collocazione quest’ultima impropria e banale (per non scomodare aggettivi più aggressivi, ma forse più opportuni). Stato e istituzioni che per molti decenni hanno consapevolmente contribuito a mantenere gli italiani in una condizione di ignoranza abissale nei confronti delle religioni – a cominciare dalla propria – pensano in tal modo di rifarsi la verginità. In realtà non fanno che ribadire la loro impreparazione in materia. Quanto è assente è infatti quello che sarebbe proprio della dimensione pubblica: la diffusione della cultura religiosa. Opzione ben diversa dal convocare esponenti delle religioni al fine di farsi complimenti pubblici che, non di rado, mascherano diffidenze, timori o  ostilità coltivate, entro le loro comunità, nei confronti degli altri. Nella primavera scorsa, all’inaugurazione della mosche di Ferrara, non c’erano esponenti ufficiali cattolici peraltro invitati. Il rabbino non va in chiesa a pregare e nessun vescovo di Ferrara ha ancora mai varcato la soglia della sinagoga. Tutti però accettano di dire le loro preghiere gli uni accanto agli altri nell’aula magna dell’Università.

Dare effettivamente spazio alle tradizioni religiose all’interno della società  significa impegnarsi a promuovere un’educazione alla democrazia rivolta non solo in direzione dei cittadini, ma anche in quella delle stesse comunità religiose al loro interno, in troppi casi aliene dal farlo. Né ciò può compiersi semplicemente convocando le religioni attorno a un tavolo in cui politici, incapaci di svolgere il loro compito, cercano aiuto in esponenti religiosi adusi a praticare una forma annacquata di dialogo interreligioso che sfiora appena la vita interna delle loro comunità. La diffusione di una cultura religiosa all’interno della società civile si presenta perciò attualmente come una delle precondizioni per il dispiegarsi di un’autentica vita democratica. Questa semplice idea non è però giunta agli orecchi del ministro Pisanu, a quelli della sua collega Moratti e men che meno a quelli del card. Ruini.

Piero Stefani

 

 

54 – Il tavolo delle religioni (20.02.05)ultima modifica: 2005-02-19T11:15:00+01:00da piero-stefani
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