52 – Domande embrionali (06.02.05)

Il pensiero della settimana n. 52 

Nessuna legge né divina né umana proibisce di costruire la propria casa nel cratere di un vulcano in eruzione, di  muovere ritmicamente le proprie braccia fino ad alzarsi in volo, di scavalcare  a piedi con un solo balzo lo stretto di Messina o il fiume Po. Il perché è semplice: si proibisce solo quanto è possibile compiere. L’impossibile si difende da solo.

L’antico, perenne comando di non uccidere dipende dalla uccidibilità del vivente. La proibizione si regge su questa intrinseca debolezza. L’immortale non può essere ucciso. Ciò viene implicitamente confermato dal fatto che, di norma, la colpa di uccidere  è considerata tanto più grave quanto minori sono le capacità di difesa di chi viene ammazzato. La condizione inerme della vittima è un aggravante per l’assassino. Tuttavia il discorso non si limita a ciò, esso tiene conto anche  della natura del vivente. Di solito nessuno prova particolare disagio a sopprimere l’esistenza dei vegetali (se ciò avviene è per motivi estetici e non etici), pochissimi lo avvertono nel caso di animali inferiori (cfr. il proverbiale “non farebbe male a una mosca”), un numero contenuto di persone condanna l’uccisione di animali più sviluppati (salvo quelli domestici con cui si è instaurata una relazione. Anche nel loro caso si accetta però che siano soppressi se la loro vita appare segnata da una sofferenza senza sbocco).

Quanto detto per l’uccidere vale anche per il manipolare. Lo si può proibire solo là dove si può intervenire. Tra i due casi vi è però una grande differenza, mentre nel caso dell’uccidere i confini del possibile sono da tempo immemorabile fissati (si potenziano solo i mezzi capaci di farlo), molto più mobili sono le frontiere nel caso della capacità di modifica del reale. La tecnica ha reso infatti attuabile quanto un tempo era giudicato umanamente impossibile. Da questo punto di vista è coerente che biotecnologia e bioetica camminino di pari passo.

L’uccidibilità e la manipolabilità sono precondizioni indispensabili,  esse però non sono sufficienti per stabilire la proibizione del non uccidere e del non manipolare. Questo divieto si regge infatti anche su altri riferimenti relativi a quello che, con termine difficile sia da definire sia da sostituire, chiamiamo natura. Su questo fronte si è però davanti a una specie di inversione rispetto alle considerazioni prima avanzate: tanto più elevata e inattaccabile è la natura tanto più alta è la colpa di sopprimerla o di manipolarla. L’affermazione appare però ricca di paradossi. Il principio che rende gravissimo l’uccidere e il manipolare sarebbe perciò la presenza nel vivente di una realtà spirituale né uccidibile né manipolabile. Qui si apre l’interrogativo antropologico più vero e più inquietante (di solito inevaso): fino a che punto l’estensione dell’area su cui si può intervenire incide sulla visione che si ha della stessa natura umana?

Possono antiche proibizioni legate a un’area di possibilità limitata essere estese sic et simpliciter a settori in cui si è dimostrato possibile quanto era ritenuto impossibile? Questo allargamento, a sua volta, non ha proprio nulla da dire sulla definizione della  natura umana? È saggio erigere fortissime barriere proibitive in caso di nature considerate elevate perché dotate di un principio spirituale (in se stesso non uccidibile, né manipolabile) e nello stesso tempo legittimare uccisioni e manipolazioni  di altri viventi ancor più inermi perché ritenuti privi di qualunque componente immortale?

Nell’insegnamento cattolico le certezze al riguardo sono granitiche: «Dal momento del concepimento, la vita di ogni essere umano va rispettata in modo assoluto, perché l’uomo è sulla terra l’unica creatura che Dio ha “voluto per se stesso”, e l’anima spirituale di ciascun uomo è immediatamente creata da Dio; tutto il suo essere porta l’immagine del Creatore. La vita umana è sacra perché fin dal suo inizio “comporta l’azione creatrice di Dio” e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine» (Istruzione Donum vitae della Congregazione per la dottrina della fede sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, 1987; in  H. Denzinger, Enchiridion symbolorum, EDB, 1995, n. 4792; cfr. anche il recentissimo, Commissione Teologica Internazionale, La persona immagine di Dio, nn.89-91 in Regno-documenti, n. 1, 2005, p.22)

Nel magistero della Chiesa cattolica quanto preoccupa è la volontà di ripetere, con sicurezza, le risposte ancor prima di essersi davvero posto domande simili a quelle avanzate in precedenza. In tal modo la santa difesa dell’integrità della vita, di cui nel mondo attuale c’è supremo bisogno, risulta fondata su troppo facili certezze per essere veramente convincente.

Piero Stefani

52 – Domande embrionali (06.02.05)ultima modifica: 2005-02-05T11:25:00+01:00da piero-stefani
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