39 – Ricordati che sei stato schiavo (31.10.04)

Il pensiero della settimana n. 39

 

A proposito del precetto del sabato il Deuteronomio (5,12-15) dà una motivazione diversa da quella contenuta nel libro dell’Esodo (20,8-12): quest’ultimo si riferisce  alle opere della creazione, il primo invece si richiama all’esodo dall’Egitto. In particolare si legge questa ragione: «Ricordati che sei stato schiavo in terra d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire  di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato» (Dt 5,15).

In Egitto gli schiavi non potevano avere il sabato. Essi, forse, potevano avere una giornata in cui ci si asteneva dal lavoro. Persino nei Lager nazisti la domenica era diversa dagli altri giorni. Ma ciò non ha nulla a che vedere con il senso del sabato. Il settimo giorno non è solo un tempo di non lavoro. «Sei giorni faticherai e farai ogni tua opera, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio» (Dt 5 5,13). Il significato primo del precetto è ovviamente religioso; tuttavia non è illecito trascriverlo anche in termini antropologici.

Il comandamento  prima ordina di lavorare e poi di riposare.  Si tratta di duplicità non di doppiezza. Le due facce si integrano. Il sabato raccoglie e benedice il senso dell’opera compiuta nei giorni dedicati al lavoro. È esattamente questa idea di completamento che manca alla schiavo; egli lavora ma lo fa per altri e nulla resta a lui se non la fatica. In lui vi è l’esaurimento delle energie,  non la presenza di un cessare (sabato da shavat, «cessare») paragonabile all’ultima parola scritta da un autore in un suo libro; l’ultimo colpo di pennello del pittore, l’ultima nota messa sul pentagramma  dal compositore. In tutti questi casi smettere significa raggiungere un senso di compiutezza. Il giorno del riposo dovrebbe essere questo, ma ciò non può avvenire se non lo si integra con il precedente tempo dedicato all’operare.

Appare francamente impensabile poter conseguire ogni settimana un riposo rivestito dai confortevoli panni della compiutezza. Di ciò gli antichi rabbi erano perfettamente consapevoli. Irrompe quindi la dimensione profondissima del «come se». «“Per sei giorni lavorerai e fari ogni tua opera” (Es 20.9). È forse possibile all’uomo compiere ogni sua opera? Ma tu riposa come se ogni tua opera fosse compiuta» (Mekhilta di Rabbi Jishmael, ad locum). Il sabato è un precetto proprio perché attraverso il suo presentarsi come comando inventa il senso di una compiutezza anche là dove esso oggettivamente non c’è. Il settimo giorno racchiude il sollievo grande proprio di un’accettazione del limite chiamata a incontrarsi con la serenità relativa ma vera di chi sa  che, nonostante tutto, il suo operare non è stato privo di significato. Il respiro del sabato è il piccolo equivalente del «ed ecco, era molto buono» (Gen 1,31) pronunciato da Dio al termine dei sei giorni della creazione. Questo detto è il ponte che congiunge tra loro il  sabato e il sesto giorno.

Lo schiavo non può godere nulla di tutto ciò. Nel XIX secolo c’è stato chi  ha  sostenuto che nel mondo moderno  la logica del lavoro schiavistico si ripresenta sotto altri aspetti: anche al proletario è oggettivamente impedito di cogliere il senso della sua opera. Anzi  tanto più lavora tanto più cresce, in virtù del suo stesso operare, un mondo a lui ostile. L’operaio può avere qualche ora di non lavoro; a lui però sarà sempre negato il sollievo di un «come se» sabbatico. Sotto questo aspetto, nel XXI secolo, molti e in molte latitudini condividono, per così dire, la condizione operaia.

A qualcuno può sembrare simbolico che  si alluda a Karl Marx proprio alla vigilia del 2 novembre. Tuttavia, ammesso e non concesso che in lui tutto sia morto, è proprio di queste giornate ricordare con gratitudine e nostalgia i defunti.

Piero Stefani

 

39 – Ricordati che sei stato schiavo (31.10.04)ultima modifica: 2004-10-30T10:25:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo