37 – La Turchia e le cattedrali europee (17.10.04)

Il pensiero della settimana n. 37

 

Chiusasi la fase di stesura della costituzione europea senza la presenza nel preambolo del riferimento alle «radici cristiane», la discussione sull’identità culturale del «vecchio continente» cerca altre vie per esprimersi; tra esse, in questi giorni, primeggia il tema della futura adesione della Turchia all’Unione Europea. Non affronteremo di petto la questione; ci limitiamo ad alcune chiose marginali. Di passaggio si può però notare che in certi ambiti la presenza turca nel contesto europeo non ha mai suscitato problemi, se non quelli derivati, di riflesso, da altri contesti. Ci riferiamo non a dimensioni politico-strategiche alte (vedi il fondamentale ruolo svolto dalla Turchia nella NATO), bensì a componenti all’apparenza meno impegnative e tuttavia rilevanti nel mondo d’oggi. La prima tra essa è lo sport. Da sempre le squadre turche di calcio fanno parte dell’Europa. Esse partecipano agli stessi tornei che vedono scendere in campo l’Italia, la Germania, la Russia, l’Ucraina, S. Marino, remote isole nordiche e Israele. A quelle competizioni non partecipano però rappresentanti della Siria, dell’Egitto o della Tunisia. Per i tifosi sia la Turchia sia Israele sono pezzi di Europa affacciati sulle rive asiatiche del Mar Mediterraneo. Non è notazione banale, anche se essa non può, né vuole, essere un argomento per sostenere determinate scelte politiche.

I sostenitori dell’identità cristiana dell’Europa hanno, tra gli strumenti che estraggono con fatidica regolarità dalle loro bisacce, il richiamo  alle cattedrali di cui è cosparso il nostro continente. In effetti solo miopi prevenuti possono contestare quel patrimonio o cercare di scorporarne la valenza artistica dalla sua originaria intenzione religiosa. Tuttavia un conto è richiamare quelle testimonianze, tutt’altro è ideologizzarle. Presentare  (come,  per esempio, avviene a Ferrara nel caso dei percorsi didattici intorno al museo del Duomo  proposti dalla fondazione Zanotti)  le cattedrali come il polo religioso attorno a cui cresceva armonicamente  l’intera città in un’epoca in cui il primato del sacro era valore comune e indiscusso non è operazione né storica, né critica: è pura propaganda ideologica. Le cattedrali erano al centro della vita urbana non solo perché quest’ultima riconosceva il primato del «sacro», ma anche perché il «profano» alloggiava nelle chiese. Le faziose, turrite e litigiose città medievali vivevano in modo tale da usare le cattedrali come luoghi di raduno, di commercio e simboli di una «religione civile» in cui l’aggettivo prevaleva spesso sul sostantivo. Sulla facciata del duomo di Ferrara campeggia la statua del duca Alberto in veste curiale e non da pellegrino e  nei suoi fianchi sono scritti per decine di metri statuti comunali da secoli non più leggibili solo perché sopra di essi sono stati ricavati una serie di negozi che rendono profanissimo il fianco sud del sacro edificio (attualmente si tratta di boutique di lusso che, suppongo, paghino canoni non indifferenti alle casse della curia arcivescovile). Moltissime cattedrali, del resto, hanno subito manipolazioni, variazioni, ampliamenti  a seconda dei gusti, delle epoche, degli interessi dei potenti di turno.

Gli ideologici delle radici cristiane si limitano a ignorare il fenomeno, mentre sull’altro fronte i puristi denunciano il perpetuo tradimento dell’evangelo che avrebbe accompagnato la chiesa da quanto essa si è alleata con il potere diventando in tal modo potere essa stessa. Né l’uno né l’altro approccio sono culturalmente e civilmente significativi. Quel che conta è  la capacità di saper leggere criticamente la propria storia. Quanto l’Europa  ha da offrire a se stessa e agli altri è innanzitutto questa volontà di interpretare in modo critico la propria civiltà denudando sottintesi, scoprendo compromessi, ricostruendo contesti e situazioni, smascherando ideologie e salvaguardando nel contempo alcuni valori. Saper leggere le cattedrali come pietre che parlano significa coglierle nella pluralità dei loro usi e  nella frastagliata storia delle loro vicende. Presentarle come simboli immutabili del primato di un Dio che è «nostro» e non «loro» in fin dei conti non è molto diverso dal proclamare che il proprio paese è padano e quindi  cristiano e che dunque Maometto deve stare «fuori dalle balle» (questa successione di pensieri, a quanto mi si dice, appare all’ingresso di una cittadina brianzola). Leggere criticamente ma non distruttivamente il proprio passato, riconoscere che ne siamo figli intelligenti  capaci di discernimento, è invece operazione che può aspirare a diventare un modello anche per tutti coloro che vogliono entrare culturalmente in Europa.

Rispetto al fatto che la Turchia appartenga o meno alla civiltà europea conta, assai più della sua appartenenza al mondo musulmano, la presenza o l’assenza del riconoscimento della  propria responsabilità storica nello sterminio degli armeni. Solo facendo i conti con la propria interna Shoà la Turchia può far parte della nuova Europa, così come è divenuta parte della vecchia inoculando nel corso del XIX sec. quei germi di nazionalismo che l’hanno condotta a sopprimere molte centinaia di migliaia di  esseri umani.

Piero Stefani

 

37 – La Turchia e le cattedrali europee (17.10.04)ultima modifica: 2004-10-16T10:35:00+02:00da piero-stefani
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