36 – Libertà di opinione (10.10.04)

Il Pensiero della settimana n. 36 

 

Vi  fu un tempo in cui la regola era di identificare l’errore e l’errante. Per far questo occorreva  che ci fosse un’autorità che stabiliva in maniera indiscutibile che cosa fosse il vero e che punisse inflessibilmente chi la pensava in altro modo. Nell’età contemporanea questo meccanismo non ha cessato di operare all’interno di varie comunità  religiose o di stati autoritari e totalitari. Tuttavia resta un apporto qualificante della moderna cultura occidentale denunciare l’orrore di questa equazione. La grande replica a essa fu la libertà di pensiero. All’origine questa proclamazione riposava su una fiducia altissima nella capacità della mente umana di cogliere il vero. Allora la mancanza di dimensione coercitiva nell’ambito del pensare dipendeva dalla convinzione che la verità si garantisse da sola. La certezza spinoziana stando alla quale veritas est index sui et falsi escludeva  vuoi il principio di autorità e di coercizione, vuoi la proliferazione senza freni dei punti di vista.

La cultura occidentale varcando le soglie della contemporaneità e incrociandosi con il mondo intero ha via via perduto la fiducia che la ragione possa giungere a un vero garantito solo da se stesso. Perciò addolora, ma non sorprende, constatare che in più ambiti si sia fatto, con forme dirette o subdole, di nuovo ricorso all’autorità per imporre un proprio punto di vista. È all’opera però soprattutto un’altra tendenza. Essa sostiene che non vi è altra via rispettosa della dignità umana che concedere a ciascuno di pensare a proprio modo e di esprimersi liberamente. Rispetto alla violenza della repressione quest’ultima alternativa appare una via più ampia e ariosa. Non la si può banalizzare. Tuttavia se  ne vedono sempre più i limiti. Tra essi uno risulta  lampante: dove a tutti è concesso di dire la propria su un piano di sedicente parità chi prevale è per forza colui che è dotato della voce più grossa. Perché questo esito si attui non occorre esercitare alcuna violenta  repressione. Per raggiungere lo scopo basta monopolizzare la comunicazione. Intesa in questa prospettiva la libertà di pensiero opera pressappoco nel modo seguente: se è un diritto di tutti esprimere ciò che si pensa è offensivo discutere sulla pertinenza delle convinzioni di ciascuno, occorre infatti rispettare quelle di tutti; dunque per prevalere non bisogna far affidamento su argomenti e su una aperta discussione, per conseguire la meta basta rivolgersi alla capacità di persuasione, ovverosia affermare con la pratica (ancor prima che con la teoria) che il medium è il messaggio. Date le premesse, non stupisce prendere atto che la forma per eccellenza del discutere sia, tanto sul piccolo schermo quanto nei festival culturali, quella del talk show, espressione in cui il secondo termine fagocita dentro di sé il primo.

Esiste anche una ricaduta più quotidianamente interpersonale di questo clima. Là dove l’opinione si fonda semplicemente sulla libertà di ciascuno, contestare e discutere una convinzione significa mancare di rispetto a chi l’ha espressa. La libertà di opinione ha così favorito il pullulare del risentimento. In pratica vige questo principio: «se cerco di confutare la tua opinione è come se ti offendessi». In realtà andrebbe ribadito questo semplice asserto: concedere a ciascuno di esprimere ciò che pensa non equivale affatto a sostenere che ogni pensiero vale un altro. Il senso profondo del dialogo (una realtà ormai possibile solo in spazi, loro malgrado, elitari) è esattamente il contrario. Lo scambio intellettuale è retto dal seguente principio: ti rispetto appunto perché discuto appassionatamente e senza sconti le tue idee. In questo senso l’esito non deve per forza essere quello del compromesso. La meta a cui tendere è un arricchimento nato da un reciproco ascolto, prassi quest’ultima, che per essere autentica, deve sfociare in un comune diritto di replica. Gli ambiti in cui questa operazione è ancora possibile sono spazi di civiltà.

Postilla. Nella chiesa cattolica ferrarese quest’ultima opzione è dimenticata al punto da non riconoscervi un’espressione autentica di libertà; ci si augura che il nuovo vescovo, Paolo Rabitti, se ne accorga e sappia comportarsi in conformità a questa constatazione.

Piero Stefani

36 – Libertà di opinione (10.10.04)ultima modifica: 2004-10-09T10:40:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo