9 – Dell’ecumenismo (25.01.04)

Il pensiero della settimana n. 9

 

Non vogliamo sollevare il problema se si è in una stagione florida o di stanca dell’ecumenismo. A tutti risulta evidente  che  è la seconda alternativa ad avere dalla sua la conferma dei fatti. Eppure la scelta ecumenica è stata da molte Chiese dichiarata irreversibile. Essa è effettivamente tale. Tuttavia quello ecumenico sarà sempre un cammino contraddistinto, per ragioni non solo occasionali, da un alternarsi di tre passi avanti e due  passi indietro o viceversa. La  ragione di ciò  sta nel fatto che l’ecumenismo è una delle maniere in cui le Chiese sono chiamate a vivere il loro complesso rapporto con la modernità

L’irreversibilità di questo itinerario è molto semplicemente un frutto dello sviluppo storico. Tuttavia l’ecumenismo, a differenza di quanto credono i tradizionalisti,  non rappresenta un cedimento alla modernità («protestante»). Non è relativismo o esaltazione del soggettivismo, e neppure tradimento della tradizione e della verità. Al contrario a essere vittima della modernità sono,  come sempre, i «reazionari» costretti a rirovesciare i termini proposti dall’opzione relativistica. Non per nulla tradizionalisti e modernisti sono concordi nell’affermare che una verità assoluta non può essere che escludente. La differenza sta solo nel fatto che gli uni propendono per la rinuncia alla verità, mentre gli altri sostengono che bisogna ribadire l’esclusivismo.

La via ecumenica è diversissima dal relativismo per una ragione sostanziale: se il pluralismo e la conseguente molteplicità di opinioni sono visti come lo statuto normale della convivenza non sorge  alcun bisogno di unità. In questo contesto non ha semplicemente  ragion d’essere ripetere: ut unum sint.  L’ecumenismo autentico  ha nel proprio cuore sia il senso di una presenza accomunante (la fede in Gesù Cristo), sia quello di una mancanza che non diviene segno di lacerazione in  ragione del fatto di essere  concordemente patita. Pluralità e diversità sono così a un tempo segni di ricchezza e di povertà. In questo contesto la forma più alta con cui testimoniare la verità dell’evangelo diviene la chiamata alla riconciliazione. Questa parola non ha senso se l’altro è giudicato un eretico; ma non ha significato neppure se l’opinione altrui è considerata un’espressione tanto legittima quanto la nostra senza che l’una intralci l’altra. In questo secondo  caso non ci sarebbe semplicemente nulla su cui riconciliarsi. La mancanza di unità non sarebbe neppure avvertita. Per questo motivo le testimonianze più alte date dal movimento ecumenico sono state tutte poste sotto l’insegna di una  riconciliazione che può offrire al mondo una parola ricca di senso  proprio perché non esclusivista, né relativista. Nel tenersi lontano da questi due estremi si addita una via che può essere feconda anche in campi differenti da quello ecclesiale.

Il vero scoglio sulla via dell’ecumenismo – non su un’altra – è  il modo di riconciliare le diversità nella prospettiva dell’unità. Da una parte si afferma che l’unità è semplicemente il frutto di diversità riconciliate; dall’altro si dichiara che le diversità  possono pienamente riconciliarsi solo entro l’orizzonte dell’unità. Per gli uni l’unità è autentica anche se non è visibile, per gli altri no. Le conseguenze ecclesiologiche delle due opzioni sono di grande portata e la tensione tra le due alternative è evidente. Tuttavia entrambe sono scelte ecumeniche, quanto meno nell’accezione secondo cui esse  hanno significato solo quando ci si prende cura di tutti e tre questi termini: unità, diversità e riconciliazione.

Piero Stefani

 

9 – Dell’ecumenismo (25.01.04)ultima modifica: 2004-01-24T15:31:00+01:00da piero-stefani
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