8 – Violenza e profezia (18.01.04)

Il pensiero della settimana n.8

 

Il libro biblico di Amos si apre con una sezione costituita da otto oracoli di condanna, ciascuno dei quali rivolto a un determinato popolo. (Am 1,3-2,15).  Essi sono introdotti dalla stessa clausola: «Così dice il Signore». Precisazione fondamentale: il profeta non ha alcuna autorità in proprio. Nessun individuo in quanto tale può emettere giudizi sulle collettività umane. In secondo luogo vi è l’immagine stereotipata di un eccesso di colpa ormai giunto al colmo: «Per tre delitti… anzi quattro, non recederò [alla lettera “non ritornerò”] dal mio decreto». La formula è espressa attraverso la negazione del verbo penitenziale per eccellenza (shuv, «ritornare»); in essa viene perciò dichiarata l’impossibilità per l’uomo e per Dio di tornare sui propri passi  e di mutare direzione (cfr. ad es. Gn 2,10). Segue in tutti i casi il motivo per cui si è meritata la punizione. Infine il castigo si abbatte sempre, simbolicamente, sulla capitale.

Questi otto oracoli cominciano a parlare delle colpe di popoli stranieri, alla fine però convergono su Giuda  (il regno del sud) e Israele (il regno del nord, dove operò Amos): si parte dagli altri e si termina con se stessi. Si assiste quasi a un movimento centripeto che passa da nord a sud, da est ad ovest, per terminare con il popolo ebraico: Damasco, Gaza (Filistei), Tiro (Fenicia), Edom, Ammon, Moab, Giuda, Israele.

Un esempio particolarmente significativo ci viene dall’oracolo contro Edom, vale a dire i discendenti di Esaù (Gen 25,30). La sua colpa è di aver inseguito con la spada il proprio fratello, di aver soffocato la misericordia nei suoi confronti e di non aver posto tregua all’ira; per questo Dio, darà fuoco alla sua capitale (Am 1,11). La colpa avviene all’interno di una relazione fraterna. Si riconosce l’esistenza di un vincolo particolare che costituisce la condizione di fratello. Esso resta ma ora si presenta come un’aggravante. È così fin dall’inizio. Caino rimane fratello di Abele, tuttavia proprio ciò aumenta la sua responsabilità. Quanto rende fratelli non è una qualità posseduta in proprio, non è un privilegio: è una relazione.

L’accusa potrebbe essere trascritta in questo modo: hai usato violenza contro tuo fratello e non hai avuto pietà di lui. La parola ebraica scelta da Amos è  particolarmente impegnativa. Essa si rifà alla radice semitica rchm; di norma vi si fa ricorso per qualificare la relazione del Signore con le proprie creature. Essa non esprime mai il rapporto dell’uomo con Dio. A differenza di quella fraterna, la relazione materna non è simmetrica. Per questo rachamim indica la pietà di Dio verso le proprie creature senza che possa esservi contraccambio (in questa stessa luce va letta la  basmala  musulmana che tutto consacra dicendo: «Bismi ‘Llahi ‘r-Rachmani ‘r-Rachimi», «Nel Nome di Dio, Misericordioso e Compassionevole»). In Amos però la radice è impiegata per esprimere un rapporto interumano. Si potrebbe parafrasare il tutto in questi termini: Edom, pur avendo condiviso lo stesso utero con suo fratello, ora non ha pietà di lui. La strettissima, vitale relazione iniziale che esiste tra i due gemelli (Esaù e Giacobbe) rende molto grave ogni forma di violenza reciproca. Si è frutto delle stesse viscere (radice rchm), eppure non si ha avuto misericordia (radice rchm) del proprio fratello (cfr.  Gb 31,15). In effetti, anche in altri punti della Bibbia questa radice ha risonanze legate alle relazioni interumane. È significativo però che essa venga impiegata soprattutto per sperare che Dio instilli misericordia nel cuore dei vincitori, vale a dire trasformi una superiorità dominata dalla violenza in una condizione che, per quanto asimmetrica, non sia estranea alla pietà (cfr. ad 1 Re 8,50;Is 13,8; Ger 42, 12).

 La colpa dei popoli sta innanzitutto nell’esercizio della violenza reciproca: Damasco ha annientato i vinti, Gaza e Tiro hanno deportato intere popolazioni, gli Ammoniti hanno sventrato donne incinte per allargare i propri confini. La violenza non ha giustificazione, né è prospettata come punizione legittima del violento. Edom è colpevole, ma non lo è meno Moab che ha bruciato e calcinato le ossa del re di quella prima popolazione. Nessun popolo è giustificato a usare  violenza né contro i vivi, né contro i morti. Per nessuno è legittimo prendersela con i potenti deposti, siano essi defunti o anche solo umiliati (e qui il pensiero torna ai membri della famiglia Hussein, prima ai due figli uccisi e sfigurati, Hudai e Qusai, poi al vivo Saddam). Nessun agente storico può sostituirsi a Dio nel punire. Non c’è alcuna provvidenzialità  in base alla quale qualcuno possa arrogarsi nel tempo il diritto di attuare la giustizia di Dio.  Edom è colpevole, ma Moab lo è a sua volta quando lo colpisce. Il fatto che Amos proponga immagini violente di Dio che incendia capitali e devasta palazzi non deve trarre in inganno: esse stanno a indicare che nessuno a parte il Signore può attuare quella punizione. Vi è un solo Giudice e questi non è umano, e nessun altro può prenderne il posto. Quelle figure di devastazione proibiscono alle creature umane di devastare.

Piero Stefani

8 – Violenza e profezia (18.01.04)ultima modifica: 2004-01-17T15:35:00+01:00da piero-stefani
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