7 – I volti dell’ipocrisia (11.01.04)

Il pensiero della settimana n. 7

 

A tutti i lettori del vangelo la parola «ipocrisia» è familiare. Mai come a proposito di essa il linguaggio si fa duro. «Sepolcri imbiancati», apparire e non essere, ostentare per raccogliere facile ammirazione e interessate lusinghe: questi appaiono i tratti propri dell’ipocrisia. Oltre ad essi c’è però dell’altro. Se fosse solo così, lì non si anniderebbe un pericolo morale per la vita religiosa. Si allungherebbe solo la serie delle maschere indossate dagli uomini per fornire di se stessi un’immagine più seducente, o almeno più presentabile.

In realtà,  l’ipocrisia è il volto camuffato e dissimulato del vivere sotto il primato di una parola imperativa. Là dove non ci sono comandamenti, precetti, regole, leggi o almeno convenzioni non si dà ipocrisia. L’amorale può essere accusato di tutto, ma non di essere ipocrita. Il cuore della questione sta nel rapporto tra vita e legge. Il vivere va sottoposto a principi e valori. La spontaneità, i desideri, le pulsioni devono sottostare a norme. Occorre sottometterli al giogo della responsabilità. Quando ci si inoltra su questo cammino si misura inevitabilmente anche la propria inadeguatezza. Non sempre si agisce in conformità con i principi consapevolmente e liberamente accettati. In questo caso le risposte possono essere molte: senso di colpa, pentimento, autoindulgenza, scoramento, disperazione o, appunto, ipocrisia. Quest’ultimo termine è in assoluto il più antitetico al pentimento e alla misericordia: l’anima profonda delle religioni. Per questo essa si presenta minaccia fatale alla vita di fede.

Vi è però ancora dell’altro. Non sempre la carenza sta dalla parte della vita, a volte sono le regole a presentarsi ridondanti. Ciò non avviene quando esse sono esigenti, ha luogo quando le  norme, invece di essere orientate al bene di chi naviga nel mare dell’esistenza, sono volte alla pura salvaguardia di se stesse: «legano fardelli pesanti e li impongono sulle spalle della gente» (Mt 23,4). In questo caso l’ipocrisia sta dalla parte delle leggi; specie quando si finge che esse tengano anche quando sono coralmente disattese. Sono violate  non solo per incoerenza o debolezza; ma anche perché quelle norme non si confrontano con la vita reale; il loro oggetto è semplicemente un’immagine del vivere più fantasmatica che ideale. In questo caso è richiesto non un appello alla misericordia, ma la franca ammissione che bisogna mutare quanto è bene che cambi.

Questo ultimo genere di ipocrisia si annida non di rado in seno alla Chiesa cattolica. Vi sono regole mantenute solo per la scelta di far finta che siamo immutabili e indiscutibili, mentre non lo sono affatto. Vi sono comandamenti irrinunciabili che giudicano e condannano quanti non li osservano e ciò rimane valido anche nella circostanza che fossero violati da tutti. In questo caso a essere messa in discussione sarebbe  la persona umana stessa e l’unica risposta  si troverebbe nella misericordia di Dio. Vi sono però anche norme che vengono confutate dal loro non esser osservate. In questi frangenti diviene palese che esse non si misurano davvero con il vivere. Questa situazione denuncia, a propria volta, l’ipocrisia di chi non le vuole mutare, anche se in pratica invita, sul piano pastorale, a «chiudere un occhio» (formula, quest’ultima, che rappresenta una specie di versione ipocrita della misericordia).

Piero Stefani

 

7 – I volti dell’ipocrisia (11.01.04)ultima modifica: 2004-01-10T15:40:00+01:00da piero-stefani
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