Ripensando a papa Giovanni (07.06.03)

Il taccuino di Piero Stefani 

 

A quarant’anni dalla morte, una delle più grandi eredità di papa Giovanni è la distinzione da lui proclamata tra errore ed errante. Essa non va intesa né come un semplice atto di misericordia nei riguardi di chi sbaglia, né  come un cedimento nei confronti del pluralismo o, peggio, del relativismo. Si tratta perciò di un confine sottile  che fa riferimento ad alcune istanze proprie della modernità, ma nello stesso tempo si guarda dall’assumerne integralmente la prospettiva. Questa distinzione, incarnata in modo cordiale e inimitabile dal “papa buono”, merita, quindi, di essere recepita e discussa anche sul piano teorico.

L’atteggiamento di misericordia nei confronti di chi sbaglia è costitutivo e permanente della Chiesa. Esso certamente albergava anche nelle coscienze degli inquisitori, molti dei quali, soggettivamente, compivano il loro terribile – e per noi inaccettabile – lavoro nella ferma convinzione di essere al servizio  della verità. Essi assumevano su di loro con serietà estrema il compito di scomunicare e  condannare. Lo facevano per il bene della Chiesa, della società e dello stesso condannato a cui volevano assicurare, per quanto era loro dato, la salvezza eterna. Tutto il sistema si reggeva dunque sulla impossibilità di distinguere tra errore ed errante: per  estirpare il primo bisognava colpire il secondo.

Esposta nei modi appena detti l’immagine corre agli auto-da-fé e  ai roghi. Non è però necessario andare a tali estremi. Questa logica vale anche in tempi meno tragici. Dal punto di vista di principio la scomunica riservata ai comunisti all’epoca di Pio XII cade in questo stesso ambito. Ma all’interno della comunità ecclesiale si può giungere anche ai giorni nostri. Le censure comminate dalla Congregazione per la dottrina della fede, che periodicamente impediscono l’insegnamento o riducono allo stato laicale qualche teologo, appartengono esattamente alla stessa sfera: l’errante paga in prima persona le conseguenze del proprio errore. Di fronte  a questi  casi  i mass media fanno un po’ di rumore, parlano di restaurazione e sono tentati di  presentare il card. Ratzinger come una versione aggiornata del “grande inquisitore”.

In realtà il discorso va impostato in altro modo. Parlare di distinzione tra errore ed errante non ha mai significato negare che l’errore ci sia. Questa massima non equivale affatto ad accogliere la versione corrente del principio della libertà di opinione, secondo cui  ci sono solo opinioni appunto perché non si dà alcuna verità. In tal caso la misura diviene semplicemente di ordine pratico e consiste nel non danneggiarsi reciprocamente.

Parlare di distinzione tra errore ed errante comporta tanto sostenere che c’è una verità dotata di una coerente pretesa di assolutezza quanto affermare che il modo di comportarsi con chi erra va collocato nella sfera non solo della misericordia ma anche del diritto. Il vero salto qualitativo giovanneo e conciliare è da situarsi proprio in quest’ultimo ambito. Si rifiuta il relativismo ma si  afferma che l’errante non deve subire alcuna conseguenza né sul piano della dignità né su quello dei diritti.. Il punto cruciale è questo: quanto nella tradizione era coniugato solo sotto la categoria della misericordia ora può e deve assumere anche la dimensione del diritto. In tale luce, pur ribadendo la denuncia dell’errore, possono cadere le scomuniche.

In quest’orizzonte – e a provarlo basterebbe la dichiarazione conciliare sulla libertà di coscienza – la sfera della libertà di opinione è definita prevalentemente in modo negativo come monito agli stati di non porre limitazioni alle scelte dei loro cittadini, specie in materia religiosa (era l’epoca in cui gli stati comunisti non garantivano libertà alla Chiesa). Alcuni nodi restano però tuttora non sciolti. Fra essi ne primeggiano tre: due di ordine teorico e uno di ambito pratico. Si possono formulare con alcune domande: qual è l’autentico statuto della verità evangelica? Dove  va ricercata la fondazione della sfera comune dei diritti? All’interno della vita della Chiesa fino a che punto può essere recepita una concezione moderna dei diritti, ivi compreso quello della libertà di coscienza?

Ripensando a papa Giovanni (07.06.03)ultima modifica: 2003-12-25T11:35:00+01:00da piero-stefani
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