Le religioni nelle case (31.05.03)

il taccuino di Piero Stefani  

 

Il libro degli Atti degli Apostoli  narra che la prima comunità dei credenti in Gesù Cristo ogni giorno frequentava il tempio di Gerusalemme e poi spezzava il pane nelle casa  pranzando con letizia e semplicità di cuore (At 2,46). Oltre che luogo di riunione  conviviale  nel senso più alto del termine, le dimore erano sedi di insegnamento e persino di annunzio (At 5,42). Anche fuori dalla terra d’Israele le case erano  spazi in cui ci si radunava. Per due  volte Paolo ricorda la comunità che si radunava a Roma presso la casa di Prisca e Aquila (1Cor 16,19; Rm 16,3-5). In un contesto in cui non era dato di organizzare in modo pubblico sedi autonome per manifestare la propria fede, le case si trasformavano in centri di riunione senza diventare per questo luoghi privati.

A nessuno era richiesto di abbandonare quanto contraddistingueva la propria partecipazione alla società  se ciò  non entrava in contrasto con la fede. Gli ebrei credenti continuavano ad andare al tempio, mentre i convertiti provenienti dalle genti cessavano di frequentare i culti pagani e discutevano animatamente se fosse loro consentito consumare carne immolata agli idoli e poi messa in circolazione per il normale consumo domestico (cfr. 1Cor 8-10). Queste note antiche indicano un problema permanente per ogni comunità giovane o poco rappresentata che  si trova ad operare entro una società contraddistinta da convinzioni diverse. Questa differenza può cadere sotto l’ombrello protettivo della compatibilità, oppure può essere marcata da tratti incompatibili, e ciò vale anche quando non sono in atto persecuzioni esplicite. Un conto è riunirsi nelle case un conto è nascondervisi. Ma anche quando semplicemente ci si raduna tale dimensione  può indicare tanto un’alterità radicale quanto semplicemente una componente specifica che,  oltre a non impedire su altri piani di collaborare con il resto della società, risulta compatibile con alcune delle sue convinzioni di fondo persino di ordine religioso: frequentavano ogni giorno il tempio e spezzavano il pane nelle case.

Negli ultimi decenni la pastorale si è più volte posta il problema di come rendere le  case «chiese domestiche». Non sembra che questa linea abbia avuto importanti e significativi sviluppi. Quanto regge sono piuttosto i segni dell’appartenenza del luogo privato a un territorio contrassegnato pubblicamente e giuridicamente da una determinata forma religiosa. La benedizione delle case impartita dal parroco ha a che fare con questa dimensione. Chi invece trova nelle case il riferimento principe del proprio riunirsi sono i gruppi religiosi fortemente minoritari o agli albori della loro strutturazione organizzativa. A Ferrara esempi del genere sono forniti  rispettivamente dal piccolo gruppo dei Bahai che si riuniscono in un appartamento di via Porta Reno o  dai gruppi buddhisti di varia denominazione e ispirazione che si incontrano nelle case. L’omogeneità tra spazio territoriale giuridicamente cattolico (parrocchia) e dimensione domestica si fa perciò sempre meno omogeneo.

Gli Atti degli Apostoli, riferendosi alle case, parlano anche di luoghi di insegnamento e di annunzio. La dinamica di quest’ultima annotazione sembra corrispondere oggi all’attività di altri gruppi che usano le case come luoghi di persuasione e possibilmente di annunzio. A tale proposito per molti anni il pensiero si sarebbe quasi esclusivamente rivolto ai Testimoni di Geova. Il riferimento è probabilmente ancora valido, anche se si ha l’impressione che, forse anche a causa della firma dell’intesa con lo stato italiano, l’attuale orientamento dei Testimoni di Geova abbia avuto una svolta che accentua più i caratteri “separatisti”  che  i tratti missionari. In questo stesso ambito si può fare riferimento anche ai Mormoni.

Infine vi è un’ultima possibilità: quella dell’ospitalità. Questo termine domestico, in certe occasioni, può essere esteso ai luoghi delle religioni. Ma qui il problema delle differenze reciproche diviene determinante. La chiesa  dei Suffragi di via S. Romano può ospitare una volta al mese gli ortodossi greci; potrebbe fare lo stesso per denominazioni confessionali o religiose contrassegnate da differenze assai più marcate?  Si potrebbero ospitare “gli altri”, vorrebbero essere ospitati? Quali sono i confini che separano le differenze riconciliabili da quelle incompatibili?

Le religioni nelle case (31.05.03)ultima modifica: 2003-12-25T11:40:00+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo