Il cessare (14.06.03)

Il taccuino di Piero Stefani 

 

Tempo di finire. La scuola è terminata e alcuni esami stanno per concludersi. Le attività sociali delle parrocchie e delle associazioni sono anch’esse in fase di chiusura. La stagione calcistica – evento fondamentale nella vita del nostro paese – ha già emesso i suoi verdetti. Iniziano le vacanze, ma esse sono marcate proprio dal loro venir dopo il tempo di lavoro. Perciò non contraddicono il senso di chiusura: l’apertura delle stagioni riguarda molto più gli operatori turistici che i frequentanti di mari e monti.

L’idea di cessare  è profondamente ambivalente: può significare completare o può voler dire semplicemente interrompere, “staccare”. Mettere la parola fine a un’opera vuol dire giudicarla completa e porne in luce la perfezione, sia pure relativa. Nulla vi è più da aggiungere o da togliere. Terminare però può voler dire semplicemente  “basta, non ne posso più, sono stanco”; in tal caso prevale la cifra dell’incompletezza, se non quella della resa. Il tal caso cessare significa arrestare un’attività senza che essa abbia condotto a una meta.

Il bilancio è una dimensione non limitata all’ambito contabile: è un atto che, in modo implicito o esplicito, si prospetta  ogni qual volta si giunge a un termine. Quel momento, collocandosi in un punto finale, non può essere come tutti gli altri. Giunti lì non si può più continuare semplicemente a “vivere alla giornata”. Esso segna un passaggio da una situazione a un’altra.  Sul piano esistenziale, come su quello più strettamente finanziario, rifiutarsi di fare bilanci o truccarli significa ammettere o mascherare un fallimento. Giungono tempi in cui bisogna volgersi indietro. Completare non è un atto che riguarda il futuro. Quando  si guarda in avanti significa che la nostra attuale condizione è contraddistinta da una mancanza, da un “non ancora”. La speranza è cosa grande; essa però è oggettivamente legata pure a una mancanza.

La Bibbia fin dalla sua prima pagina conosce il verbo “cessare”.  Lo presenta in modo alto  come coronamento dell’atto creativo. In sei giorni Dio creò e ordinò, separando luce e tenebre, acque e asciutto, facendo germogliare la terra, dando vita agli animali e creando l’uomo a propria immagine e somiglianza in quanto maschio e femmina. Il succedersi delle opere dei sei giorni è contraddistinto per cinque volte dall’espressione «ecco è buono»; la sesta volta, voltandosi indietro, e vedendo quanto aveva creato, Dio cambiò formula e disse «ecco è molto buono» (Gen 1,31). Allora poté cessare. «Furono completati il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Dio completò nel settimo giorno la sua opera che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni sua opera che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò poiché in esso aveva cessato in ogni sua opera che Dio aveva fatto mentre creava» (Gen 2,1-3). Il cessare divino è il settimo giorno: è il sabato.  A svelarlo, del resto, è l’etimo stesso: sabato deriva dal verbo shavat, appunto cessare.

La parola riposo non vi è all’inizio della Genesi quando il sabato è solo Dio. Essa è introdotta nel libro dell’Esodo (20,11), quando il sabato diviene anche un comandamento; vale a dire un precetto che va rispettato anche dall’uomo. Il riposare  non rientra a pieno titolo nel modello del completamento. Esso implica la fatica di un’opera che logora anche perché  resta sempre  in qualche misura, piccola o grande, al di sotto di quanto avrebbe dovuto essere. «Per sei giorni lavorerai  e farai tutta la tua opera…» prescrive la Bibbia (Es  20, 9). Come è possibile, si chiedevano gli antichi rabbini, compiere tutto? E rispondevano dicendo che al sabato bisogna riposare  «come se» la nostra opera fosse completa. Altrove però essi avevano anche detto che, per quanto non stia a noi completare l’opera, non siamo neppure nelle condizioni di sottrarcene. Questa è vera saggezza. Il sabato per noi è sempre anche un futuro; non possiamo eliminare la componente di incompletezza che ci contraddistingue. Ciò però non significa  né sottrarsi rassegnati all’operare, né  precluderci momenti entro l’esistenza in cui si vive “come se “ il nostro operare possa essere dotato del senso consolante della completezza. Si tratta in ogni caso di frammenti, per noi infatti la pienezza del sabato resta  consegnata al futuro della speranza.

Il cessare (14.06.03)ultima modifica: 2003-12-25T11:30:00+01:00da piero-stefani
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