Le Chiese cristiane e la pace (18.10.03)

Il taccuino di Piero Stefani

 

Anniversari. Venticinque anni per una vita è lasso breve, per un matrimonio è un’ampiezza ragguardevole, per un pontificato è un periodo lunghissimo. Nel primo caso vi si giunge nella pienezza del vigore, nel secondo con i capelli brizzolati e le rughe sul volto, nel terzo, rarissimo, si è ormai entrati nella grande vecchiaia. Il venticinquenne non fa bilanci, le nozze d’argento si confrontano con figli ancora da sistemare, il giubileo papale è  tempo in cui si tirano le somme e si è orientati a guardare anche verso il dopo. Quest’ultima operazione sfiora o supera il cinismo se si consegna alla spirale delle previsioni; essa è invece pensosa e responsabile se guarda ai modi di custodire un lascito. Non è indelicato celebrare all’insegna di una prossima eredità una ricorrenza che coincide con la parabola finale di un’esistenza.

Tra gli impegni che hanno contraddistinto il pontificato di Giovanni Paolo II vi è, in primo piano, quello dedicato alla pace. All’inizio di quest’anno gli appelli papali contro la guerra hanno goduto di un’eco altissima. Di fatto essi sono state espressione di quell’esercizio corale del primato auspicato dal papa nella sua enciclica ecumenica Ut unum sint (1995). Come non di rado è accaduto in questo pontificato i gesti e gli atti sono stati rivelatori. Può ben essere che la riflessione ecumenica languisca, che la ricerca teologica ed ecclesiologica auspicata da quell’enciclica non abbia fatto in questi ultimi anni significativi passi avanti, tuttavia  la voce del papa alla vigilia della guerra in Iraq ha espresso obiettivamente una posizione non solo cattolica: anche altri cristiani  hanno riconosciuto in essa una voce autorevole.

Non sono passati molti mesi da quel momento che però ci appare lontano; su di esso il sole estivo sembra aver compiuto l’impietoso processo di scoloritura che ha attuato sulle bandiere della pace giunte all’autunno, al pari delle foglie, stanche e in procinto di cadere. Su questo processo che ha condotto a stingere la vivezza dei colori della pace hanno inciso, tra l’altro, due fattori: aver saputo dire molto meno a partire dal momento in cui la guerra è scoppiata e non aver accolto l’occasione di sostanziare in modo istituzionale il consenso ecumenico sulla pace. Saper discernere tempi e momenti e porre la pace al centro della riflessione ecumenica (non  si dimentichi che l’ecumenismo è la via per porre sotto l’insegna di una pace piena le relazioni tra le Chiese cristiane) sono due compiti connessi al lascito di questo pontificato.

In un incontro di studio organizzato dalla rivista Il Regno svoltosi a Camaldoli ai primi di ottobre, il Card. Achille Silvestrini ha dato mostra di essere perfettamente consapevole di queste due istanze. Fine diplomatico e prefetto emerito della Congregazione per le Chiese orientali, Silvestrini sa di storia e di politica, ma anche di fede. Esperienza e convinzioni cristiane si sono coalizzate in lui nella proposta di convocare a Roma un sinodo pancristiano che abbia al proprio centro il tema della pace. Non si tratta di un espediente per rilanciare l’ecumenismo, ma della speranza che, prendendosi a cuore le sorti del mondo, le Chiese cristiane sappiano relativizzare il peso di antiche divisioni.

 

 

Le Chiese cristiane e la pace (18.10.03)ultima modifica: 2003-12-25T10:50:00+01:00da piero-stefani
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