Dallo jolé alla costituzione (25.10.03)

Il taccuino di Piero Stefani

 

Vi sono delle parole che evocano in se stesse un clima. Se si sente pronunciare il termine olé (propriamente jolé),  il pensiero corre inevitabilmente alla Spagna. Gli occhi della immaginazione vedono ballerine di flamenco e gli orecchi odono risuonar  nacchere e secchi colpi di tacchi sul pavimento. Ancor di più si pensa, con attrazione o raccapriccio, a corna di tori infurianti che sfiorano il corpo di arditi toreri. Quella esclamazione richiama irresistibilmente il folclore iberico. Nei balli e nel rutilante macello della corrida non si vede nulla di cattolico; nessuno però negherebbe che un forte, appassionato, e a volte terribile, cattolicesimo abbia impregnato di sé  la civiltà spagnola. Come descrivere quella terra senza far memoria di radici cristiane drammaticamente tempratesi nella Reconquista e nell’inquisizione e sublimate nell’amore ardente dei grandi mistici?

Con tutto ciò nei nostri orecchi continua a risuonare l’jolé. Da dove mai salterà fuori questa parola? Probabilmente sarà un’espressione onomatopeica o giù di lì. Nossignori, vi è un etimo preciso. Deriva dall’arabo wa-l-lah «per Dio». Dietro la più spagnola di tutte le esclamazioni ci sono sette secoli di convivenza, scambi e corpo a corpo con i musulmani. La frequenza  con cui i seguaci dell’Islam nominano Iddio (Allah) è stata introiettata a tal punto dal mondo iberico da diventare la sua esclamazione per antonomasia.

In Europa esempi di imprestiti come questo se ne possono fare migliaia e non solo nella penisola iberica e non solo dalla civiltà arabo-musulmana. Le culture hanno sempre sotto di loro un gran intrico di radici; ve ne sono delle più consistenti e delle più labili, nessuna di esse è però amputabile senza  penalizzare la comprensione. Di tutto ciò si dovrebbero occupare coloro che, non di rado in modo ideologico, parlano con troppa facilità di radici cristiane (o bontà loro, giudeo-cristiane) dell’Europa. Le più elementari esigenze della cultura sono l’onestà intellettuale e la fatica della ricerca. Nessuno nega che il cristianesimo sia una radice decisiva della cultura europea. Tuttavia non è la sola. Inoltre il compito proprio dell’annuncio evangelico non è di fondare culture: per questo fin dall’origine, quando è stato fedele a se stesso, si è potuto inculturare  in tutte le latitudini e le longitudini.

Quanto poi alla necessità di ricordare quella radice nel Preambolo della futura Costituzione europea, il discorso resta aperto. Una punto è incontrovertibile, si sta parlando di un testo giuridico e ogni eventuale menzione va commisurata a questo  preciso ambito. Nessuno ha mai patito per il fatto che l’attuale Costituzione italiana, alla cui elaborazione hanno contribuito eminenti esponenti cattolici, non nomini Dio, né faccia cenno alle radici cattoliche del nostro paese. Bastava a ciò l’articolo 7 che recepisce il concordato. Si può essere più o meno d’accordo sull’opportunità di quell’inserimento; resta comunque certa la plausibilità formale di compiere quel riferimento giuridicamente pertinente. Preoccuparsi dei preamboli e volerli genericamente culturali astenendosi dal valutare gli articoli di un progetto costituzionale, prova solo l’ignoranza giuridica di chi si cimenta in simili discutibili imprese..   

Piero Stefani

 

Dallo jolé alla costituzione (25.10.03)ultima modifica: 2003-12-25T10:45:00+01:00da piero-stefani
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