Il senso del limite (21.06.03)

Il taccuino di Piero Stefani 

 

Cessare, lo si diceva l’altra volta, può voler dire completare. A sua volta porre la parola fine significa riconoscere l’esistenza di un limite. Una realtà compiuta è appunto terminata, finita. Questa sua caratteristica fa sì che essa si rapporti con l’altro da sé. Il confine, separando, delimita. In questo senso una cosa è se stessa anche perché non è un’altra. L’esistenza dell’altro – non è necessario essere Hegel per saperlo – diviene, perciò, momento costitutivo dell’essere se stessi. Il senso del proprio limite fa tutt’uno con il riconoscimento della presenza di un altro. Di tutto ciò la Bibbia è a conoscenza  fin dalla sua prima pagina. Torniamo quindi sul  racconto della creazione.

Il primo rapporto del Dio della Bibbia con la dimensione del limite si trova, alla lettera,  nella pagina che apre le Scritture. Le modalità con cui la cosiddetta fonte sacerdotale narra l’opera della creazione sono infatti tutte basate sulla limitazione. Tale dimensione si manifesta attraverso la separazione e mediante la cessazione. Assunti nel loro insieme questi due termini scandiscono l’intero arco dell’opera estesa dal primo al settimo giorno. Sei giorni sono contraddistinti dall’azione di distinguere, l’ultimo da quella di completare sospendendo il proprio agire.

“E disse Dio: ‘sia la luce’ e la luce fu, e vide Dio che la luce era buona e pose una divisione Dio fra la luce e le tenebre e Dio diede alla luce il nome di giorno e alla tenebre il nome di notte e fu sera e fu mattina giorno uno” (Gen 1,3-5). Il chiamare all’essere quanto non era è frutto della parola, mentre l’azione di dar ordine a quanto già c’è si realizza mediante la separazione. Tenebre caotiche e primordiali si estendevano sulla faccia dell’abisso (Gen 1,2); la repentina  comparsa della luce non annulla l’elemento oscuro, semplicemente lo limita e lo contiene facendolo diventare notte. La luce viene dopo le tenebre, non si tratta però di un puro passaggio o di una  semplice successione: è l’alterità della parola di Dio («fiat lux») a chiamare all’essere la luce e a giudicarla buona. Subito dopo viene la divisione, in virtù della quale, limitandolo, si conserva anche l’elemento a cui originariamente ci si oppose. La creazione della luce coincide con la possibilità di una sua rappacificazione con le tenebre. La costituzione del limite consente la riconciliazione tra gli opposti: la comparsa della luce, contenendole, legittima pure le tenebre. Anche queste ultime ora, in luogo di rappresentare un abisso primordiale posto al di fuori di un rapporto diretto con Dio, formano una componente essenziale della creazione. Adesso Dio può dare nome persino alle tenebre chiamandole «sera». La separazione sfocia nell’esistenza di realtà diverse e riconciliate. Ciò avviene perché il sorgere della luce e il suo declinare non si presentano come momenti tra loro equiparati. Anche nell’alternarsi del dì e della notte il primato qualitativo (non quello cronologico) spetta alla luce. «Fu sera e fu mattina»: il giorno comincia dalla sera,  vale a dire non inizia dalle pure tenebre, bensì da un buio che anticipa in sé la prossima luce. Fino a oggi nella tradizione ebraica – ma le stesse considerazioni valgono anche per la liturgica cattolica – il giorno inizia con l’avvistamento delle prime tre stelle; vale a dire con la comparsa dei più precoci barlumi luminosi posti nel cuore della oscurità. È sempre l’apparire della luce a contenere le tenebre, non viceversa.

Nella completezza limitata propria del mondo creato non si danno tenebre senza luce, caldo senza freddo, secco senza umido, vita senza morte. La speranza cristiana però è più grande del mondo. Essa guarda a un giorno privo di tramonto, a una luce senza tenebre, a una vita che non conosce il finire. Agli antichi pagani questi desideri  e coloro che li sostenevano parevano folli. Dal loro punto di vista non avevano torto: sperare in quanto è al di là di ogni limite non è conforme con il limite che  costituisce il tessuto di questo mondo. Essere nel mondo ma non del mondo significa testimoniare questa eccedenza rimanendo nel contempo fedeli alla terra. Nessuna vocazione è più alta e paradossale di quella cristiana.

Il senso del limite (21.06.03)ultima modifica: 2003-12-25T11:25:00+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo