Quale crocifisso? (28.09.02)

il taccuino 

 

Periodicamente si torna a discutere della presenza del crocifisso nei luoghi pubblici. In attesa dell’approvazione di  altre  e più estese leggi  è ancora l’onda lunga del regio decreto del 1928 a dare forza giuridica all’atto di appendere nella aule scolastiche la croce. Come sempre di fronte alla presenza di un oggetto a cui la quasi totalità degli utenti – questo il nome ormai invalso anche in ambito scolastico – non presterà la minima attenzione si tirano fuori i massimi problemi. Laicità dello Stato, libertà religiosa, pluralismo, identità  sono tutte categorie chiamate, da fronti opposti, immancabilmente in causa. Allo stesso ministro della Pubblica Istruzione appare doverosa l’esposizione del crocifisso in quanto testimonianza delle «profonde radici cristiane del nostro Paese e di tutta Europa».

 

Torneremo sul problema dell’identità; per ora ci limitiamo a chiederci se questa simbolicità possa essere salvaguardata a prescindere dalla forma in cui il crocifisso viene rappresentato.  Spiriti acuti già da molti decenni si sono interrogati sul destino dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica; ma qui ci si deve piuttosto domandare quale sia il senso dei simboli  religiosi nell’età della produzione industriale della «chincaglieria». Le mete del turismo religioso sono sistematicamente invase da un’oggettistica banale, paccottiglia assai poco compatibile con un qualunque valore simbolico.  Sarebbe empio negare che anche in quei luoghi ci siano autentiche manifestazioni di fede, ma sarebbe sprovveduto non percepire che esse vi sono nonostante quel ciarpame religioso (e non già grazie a esso).

 

L’ostensione pubblica del crocifisso in sedi predisposte alla formazione culturale delle giovani generazioni dovrebbe essere accompagnata da una riflessione sull’arte cristiana. Si tratta di un pensiero abbastanza ovvio, eppure di esso non c’è traccia. La parola della croce è componente costitutiva dell’evangelo nel suo presentarsi, come dice Paolo, stoltezza e scandalo (cfr. 1Cor 1 ,17-2,5). L’immagine del crocifisso è invece elaborazione non primordiale né scontata della cultura cristiana. Se attraverso le varie, diversissime tipologie di croci si può tracciare l’intera parabola storica della spiritualità cristiana ciò avviene proprio perché ognuna di esse diviene una modalità, almeno indiretta, di risposta all’interrogativo di cosa vuol dire esprimere il simbolo della fede attraverso l’immagine.

In Occidente negli ultimi secoli l’arte, forse ancor più della parola, è riuscita a trasmettere il senso di una morte in croce presentata come «scandalo» e «follia». Di fronte al  Cristo morto di Hans Holbein il Giovane Miskin, il protagonista dell’Idiota di Dostoewskij, esclama: «Questo quadro! Ma più di uno, guardando questo quadro, può perdere la fede!»; ciò può avvenire perché la «verità della morte», lì così potentemente raffigurata, sembra rendere incredibile la speranza cristiana nella resurrezione. Tuttavia, ben si comprende che di fronte a questo estremo si dischiude anche quello opposto:  l’arte può aiutare a cogliere alcuni aspetti profondi della fede nel crocifisso. Le croci esposte nella aule non hanno nulla a che fare con tutto ciò semplicemente perché in ballo non c’è la fede o la non fede ma una presunta identità culturale e civile. La mancanza di ogni riflessione sul modo in cui può essere raffigurato il crocifisso, diviene in questo caso  piccola   spia di  un lungo processo che ha fatto sì che la «stolta» predicazione della croce apportatrice di salvezza (1Cor 1, 18-21) si  trasformasse a poco a poco in una bandiera per  riaffermare i valori  con cui una civiltà si distingue e non di rado si contrappone alle altre.

 

A nessun osservatore dotato di un minimo di senso critico può sfuggire che non è affatto l’attaccamento all’identità cattolica italiana a  indurre molti a giudicare pericolosa una determinata presenza straniera. Il discorso è esattamente l’opposto: chi, per le più svariate ragioni, ritiene inquietante la presenza straniera (specie islamica) scopre che l’appello a una supposta identità cattolica italiana risulta funzionale alla propria posizione. Questo tipo di procedere trasforma la religione in un modo per soddisfare bisogni identitari collettivi, il che rappresenta una tipica  forma di secolarizzazione del religioso. Non è un paradosso affermare che in certe situazioni l’amore per il crocifisso si manifesta  assai più nella scelta di non esporlo che in quella di presentarlo come un vessillo di valori molto più conclamati che messi in pratica.

 

 

Quale crocifisso? (28.09.02)ultima modifica: 2002-12-28T06:55:00+01:00da piero-stefani
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