A ora incerta (08.02.03)

Il taccuino 

 

Le modalità con cui da più parti si svolge la «Giornata della memoria» inducono a una riflessione per certi aspetti paradossale: un giorno istituito per tutelare un ricordo, va a propria volta tutelato. Frastagliata in una rivolo di iniziative civili e culturali e insidiata sia dalla retorica sia dalla inadeguatezza a cogliere i nodi nevralgici del discorso, la giornata, specie in ambito scolastico, rischia, involontariamente, di creare nei giovani un senso di saturazione, o meglio di rafforzare in loro la convinzione di sapere già quanto in realtà ignorano.

In prospettiva lo stesso rischio pesa sulla decisione parlamentare di erigere a Ferrara un «Mausoleo della Shoah». Il profilo ambiguo di alcuni dei suoi promotori, l’ammontare eccessivo dello stanziamento, i dubbi connessi alla preparazione culturale della realtà locale creano attorno al progetto non poche perplessità. Anche in questo caso sembra prospettarsi la necessità di dover tutelare quanto è nato per tutelare. La  procedura «al quadrato»  connessa a simili iniziative è richiesta al fine di salvaguardare un nucleo, la memoria della Shoah, che  fa ormai obiettivamente parte della coscienza storica dell’Europa. In particolare ciò è vero se, oltre che delle vittime, si ha il coraggio di parlare anche dei persecutori, tema troppo di frequente risolto ricorrendo sbrigativamente alla «follia nazista» (in questo caso neppure «nazifascista»). Lo strabismo che induce a prendersi cura del contenitore per salvare il contenuto solleva però interrogativi sulla oculatezza di certe scelte.

«Since then, at an uncertain hour, / Dopo di allora, ad ora incerta, / Quella pena ritorna, / E se non trova chi la ascolti / Gli brucia in petto il cuore. / Rivide i visi dei suoi compagni / Lividi nella prima luce, / Grigi di polvere di cemento, / Indistinti per nebbia, / Tinti di morte nei sonni inquieti: / A notte menano le mascelle / Sotto la mora greve dei sogni / Masticando una rapa che non c’è. / “Indietro, via di qui, gente sommersa, / Andate. Non ho soppiantato nessuno, / Nessuno è morto in vece mia. Nessuno. / Ritornate alla vostra nebbia. / Non è colpa mia se vivo e respiro / E mangio e bevo e dormo e vesto panni». Questa poesia, intitolata Il superstite, fu scritta da Primo Levi nel 1984, tre anni prima della morte. L’iniziale verso in inglese è tratto da The Rime of the Ancient Mariner del poeta romantico S.T. Coleridge. A questo stesso componimento si ispirano anche le parole immediatamente successive. Versi ripresi nell’epigrafe dell’ultima opera di Levi, I sommersi e i salvati. Infine  Ad ora incerta è il titolo scelto da Primo Levi per la raccolta completa delle sue poesie. Si tratta di richiami troppo frequenti per essere casuali. La vicenda raccontata dal vecchio marinaio di Coleridge, romanticamente intessuta di una dimensione fantastica in cui il mondo terreno si incontra con quello degli spiriti, è per più aspetti lontana da Levi; eppure egli vi fa troppe volte riferimento perché si tratti di pura coincidenza. La ragione di ciò è evidente: anche quella del marinaio è una storia di un sopravvissuto che mai potrà staccarsi dai fantasmi del proprio passato.

La cifra di questo ricordo è posta sotto l’espressione: «a ora incerta», sigla esistenziale che si pone agli antipodi di una memoria ufficiale connessa alle ricorrenze e ai mausolei. Se non si trasmette il senso di essere abitati da un ricordo che afferra «a ora incerta» – secondo i ritmi propri della memoria e non in base a modalità celebrative – la voce dei testimoni non raggiunge il proprio scopo. Ciò ha luogo per colpa degli ascoltatori disattenti non per responsabilità di coloro che hanno parlato. Se i testimoni fossero  rimasti i muti il mondo – come ha dichiarato Levi – non avrebbe saputo «di che cosa l’uomo è stato capace, di che cosa è tuttora capace». Il mondo non conoscerebbe davvero se stesso e senza tale conoscenza sarebbe più esposto al ripetersi di simili eventi. La via regia per educare alla memoria è esattamente  quella espressa da queste parole. Individuarla non basta ad  assolvere il compito, indica però la giusta direzione. L’impresa è ardua, la si deve ugualmente tentare. Educare, in questo e in altri campi, significa trasmettere la possibilità di essere «a ora incerta» abitati da un ricordo.

 

A ora incerta (08.02.03)ultima modifica: 2003-12-25T12:50:00+01:00da piero-stefani
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