532 – Quale Gesù – Parte II (06.09.2015)

Il pensiero della settimana 532

Quale Gesù?

(Parte II)

P. Il punto non è questo. Anche Schweitzer, come vedremo, non era estraneo a questo orizzonte. Tuttavia un conto è parlare in questi termini e altro affermare che Gesù storico coltivasse in proprio questa visione.

M. Che cosa lo impedisce?

P. Qui entra in ballo la linea che di solito va sotto il nome di riscoperta dell’apocalittica. Un contributo importante in questa direzione lo si deve  all’opera di Johannes Weiss  uscita nel 1892, quando l’autore aveva ventinove anni  (come vedi, a quell’epoca anche altri erano precoci), e riedita con molti ampliamenti nel 1900. In essa Weiss dimostra come, nell’ambiente giudaico dell’epoca di Gesù, fossero molto radicate concezioni di tipo apocalittico. Gesù nel suo annuncio del regno condivideva questa visione. Il suo radicalismo etico – quello del Discorso della montagna, per intenderci – va visto in questa prospettiva. Per indicarlo si è coniata l’espressione tecnica di «etica interinale».

M. Anche per Schweitzer Gesù storico sarebbe stato un apocalittico?

P. Sì. E ora ti proporrò l’estrema sintesi da te auspicata. Schweitzer fonda la sua interpretazione della vita di Gesù nell’orizzonte della cosiddetta escatologia conseguente (altro modo per dire il suo orientamento apocalittico) basandosi su affermazioni che da sempre hanno suscitato imbarazzo tra i lettori del vangelo. Te ne do un esempio: «In verità vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza» (Mc 9,1). Se con l’avvento del regno si intende un mutamento globale dell’ordine del mondo, si è obbligati a trarre la conseguenza che Gesù si è proprio sbagliato; conclusione che, di solito, provoca non poco sconcerto tra i credenti. Schweitzer invece non esitò a entrare  in questa prospettiva.  Nella prima fase della sua vita pubblica Gesù predica una morale molto esigente in vista della prossima venuta del Figlio dell’uomo il quale avrebbe fatto irrompere il regno. Invia i dodici in missione sorretto da questa convinzione: «Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra. Amen infatti vi dico, non finirete le città d’Israele finché venga il figlio dell’uomo» (Mt 10,23). I dodici ritornarono però da Gesù senza che avvenisse nulla di tutto ciò.  Gesù, deluso per il mancato arrivo del Figlio dell’uomo escatologico, riprende coscienza di essere Messia – l’aveva avuta al battesimo al Giordano – ma ora la vive sulla scorta della figura del Servo del Signore sofferente predetto dal libro di Isaia. Gesù cerca perciò di sforzare la storia perché si adempia la profezia. A questo scopo organizza l’entrata messianica a Gerusalemme che però non è compresa dai suoi discepoli.

M. Mi sembra una ricostruzione molto drammatica della vita di Gesù. In ogni caso comincio a capire perché Schweitzer sosteneva che Gesù pensasse e operasse  con categorie proprie del suo tempo ma molto lontane da quelle che circolavano nell’Europa del primo Novecento.

P. Anche questa volta, se mi permetti l’espressione, dimostri di essere una brava scolara.  La ricostruzione della vita di Gesù non finisce però qui. Inizia una seconda aspettativa che trova la propria espressione paradigmatica in un versetto di Matteo (23,39): «Vi dico infatti: non mi vedrete più finché non direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore». Gesù preannuncia ai dodici la propria morte volta a realizzare la profezia del Servo sofferente. Il tradimento di Giuda consiste nel rivelare ai sommi sacerdoti che Gesù si ritiene il Messia. In definitiva, anche incamminandosi verso la morte, Gesù aspettava uno straordinario intervento di Dio che avrebbe concluso la storia  attraverso l’avvento del regno di Dio.

M. Un Gesù che, mi sento quasi imbarazzata a dirlo, sbaglia previsione anche nel momento in cui  offre la propria vita è difficile da digerire per le Chiese.

P. È così. Bisogna però comprendere un passaggio chiave: i tratti qui esposti sono quelli di un Gesù storico che non ci è dato incontrare, sono cioè propri di un uomo del suo tempo che non è più il nostro.

M. Ma, scusa la franchezza, che ce ne facciamo di un Gesù che ci è precluso incontrare?

P. Non c’è proprio niente di cui devi scusarti. Posta in modi formalmente più complicati, ma sostanzialmente identici ai tuoi, la questione è stata cruciale per buona parte della teologia novecentesca. Essa si è costantemente posta il problema di come sia possibile parlare di Gesù e del suo passato storico intendendolo come un evento salvifico che riguarda il nostro presente. L’opera, in un certo senso preliminare, di Schweitzer consiste nel proporre una distinzione tra la ricerca sul Gesù storico e il significato rivestito, per la fede, dalla storicità di Gesù. La sua posizione è netta, secondo lui i due piani vanno tenuti rigorosamente distinti. Nella sua essenza la religione è indipendente dalla storia. Ti cito alcune sue parole, tratte dalla prima edizione:

Il Gesù che può essere qualcosa per il nostro tempo e può aiutarlo non è quello conosciuto storicamente, bensì solo quello risorto spiritualmente negli uomini. Chi vince il mondo non è il Gesù storico ma lo spirito che discende da lui e lotta negli spiriti degli uomini  per un nuovo agire e per una nuova signoria. (cit. p. 15).

 

M. Dunque qui, ammesso e non concesso che continui a capire bene, si ripropone una forte esigenza etica. Ma come allora ci è dato incontrare Gesù? Alla fine dei conti quanto mi sta a cuore è proprio questo: per quale via ci è dato incontrare Gesù?

P. Anche  su questo punto Schweitzer si è espresso con grande chiarezza. Eccoti le sue parole tratte di nuovo dalle conclusioni:

 Il nostro rapporto con Gesù è in fin dei conti di carattere mistico. E d’altra parte nessuna personalità del passato può venire collocata nel presente in modo vitale mediante una considerazione storica (…)  Noi possiamo acquisire un legame con essa solo se ci incontriamo nel riconoscimento di una volontà comune, se constatiamo che nella sua volontà la nostra si chiarisce, si allarga e si ravviva e se in essa troviamo noi stessi. In questo senso ogni rapporto più profondo tra gli uomini è di carattere mistico e la nostra religione, nella sua specificità cristiana, è non tanto un culto di Gesù. quanto piuttosto una mistica di Gesù (p. 755).

 Ti leggo infine le ultimissime parole del libro: «Egli comanda. E si rivelerà a coloro  che gli obbediscono, siano saggi o poco saggi. Si rivelerà nella pace, nell’azione, nelle lotte e nelle sofferenze che costoro vivranno in comunione con lui. Ed essi sperimenteranno che egli è, così come si conosce un segreto ineffabile…»

M. Ora mi è più comprensibile perché il giovane, brillante accademico lasciò l’università per andare a curare gli ultimi di Lambaréné.

P. La seconda edizione della Storia della vita di Gesù è, se ricordi, del 1913; la laurea in medicina con specialità in malattie tropicali è del 1911. Qui la nuda cronologia indica di per sé una già avvenuta scelta di vita.

Piero Stefani

 

 

 

 

 

 

 

532 – Quale Gesù – Parte II (06.09.2015)ultima modifica: 2015-09-05T09:00:22+02:00da piero-stefani
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