464 _ Introduzione al ciclo La Grande Guerra e il Novecento (Parte III) (09.02.2014)

Parte III
Sarajevo: una città simbolo[1]

Nessuna immagine

Fabio.

Mi è tornato alla mente un brano tratto dall’inizio di un libro famoso, specie per il suo titolo, Il secolo breve di Eric Hobsbawm. Te lo leggo:

Il 28 giugno 1992, senza preannuncio, il presidente francese Mitterand fece un’improvvisa e inattesa comparsa a Sarajevo, centro di una guerra balcanica che doveva provocare nel resto dell’anno la morte di 150.000 persone (…) un aspetto della visita di Mitterand  passò quasi sotto silenzio, benché fosse uno dei più importanti: la data. Perché (…) proprio quel giorno? Perché il 28 giugno era l’anniversario dell’assassinio dell’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, avvenuta a Sarajevo nel 1914, un episodio che condusse, nel giro di qualche settimana allo scoppio della prima guerra mondiale. Per ogni europeo colto dell’età di Miterand  balzava agli occhi il nesso tra la data, il luogo e il ricordo di una catastrofe storica innescata da errori di valutazione politica.

Ho pensato qualche volta che in anni recenti Sarajevo è stata una specie di micro riproposizione della Prima guerra mondiale. La mia, s’intende, è più una suggestione che un’analisi storica. Riflettevo sulla situazione di una città multireligiosa e multiculturale travolta dall’esplosione di nazionalismi etnici.

Magda
C’è del vero in quanto dici. Nella “classica” Sarajevo vivevano bosniaci, serbi, croati, ebrei (le deportazioni naziste ne decimarono però la consistenza), musulmani. In poche migliaia di metri quadrati c’erano – e ci sono- uno accanto all’altro luoghi di culto cattolici, ortodossi, musulmani, ebraici. È ovvio, anche allora non tutto era perfetto. Le città del sole esistono soltanto nell’immaginazione. Eppure…
Dopo vent’anni dalla fine dell’assedio molto è stato ricostruito, la ripresa è evidente, ma i segni della guerra si scorgono ancora specie in alcuni quartieri. Come potrebbe essere altrimenti?  Nel corso del più lungo assedio della storia moderna – dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996 – sono stati distrutti 35.000 edifici; non c’è casa che non abbia subito danni.
Fabio
È stata una guerra così vicina a noi nel tempo e nello spazio, eppure…
Non ricordo nemmeno a che cifra ammontano le vittime.
Magda
All’incirca 12.000. Per i feriti si parla di 50.000, per la stragrande maggioranza civili. Ma voglio lasciar parlare altri. Prima di tutto le immagini e i suoni. Ti ricordi del violoncellista Vedran Smailovič e del suo adagio di Albinoni ?
Fabio
Ora che me lo dici mi torna in mente: è lo strumentista che suonò nei luoghi di distruzione durante l’assedio.
Magda
Sì! Nel 1992 interpretò a varie ore per 22 giorni quel pezzo musicale. Il numero non fu un caso, fu scelto per onorare le 22 vittime civili uccise dai bombardamenti mentre erano in coda per comprare il pane. Purtroppo simili episodi si ripeterono in seguito con proporzioni anche maggiori. Vedran suonò pure in diversi funerali anche quando erano presi di mira dalle truppe serbo-bosniache. La sua foto più famosa è quella che lo ritrae fra le rovine della semidistrutta Biblioteca nazionale di Sarajevo. Sotto le bombe sono andati in cenere molti testi preziosissimi. Ha un sapore particolare ricordalo qui, mentre ci troviamo all’Ariostea.
Su youtube è recuperabile un video che si ispira a questa vicenda. Con il sottofondo dell’adagio di Albinoni (che in realtà non è suo, ma poco importa) ci presenta alcune immagini di Sarajevo prima, durante e dopo l’assedio. Comincia con la cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi invernali del 1984 e termina con le immagini della città d’oggi tornata alla vita: ma c’è anche il mezzo.
Video Sarajevo’s Adagio, circa  4 minuti.
 
Fabio
Davvero impressionante, alcune immagini sono crude, altre strazianti, le ultime fanno tirare il fiato. La forza di ricominciare degli esseri umani è grande!
Penso però di aver capito che non ti riferissi solo al video.
 
Magda
Infatti. Vorrei che una mia allieva leggesse la pagina conclusiva del diario scritto nel 1993, durante le fasi più violente dell’assedio, da una sua coetanea, Zlata Filipović, conosciuta come l’Anna Frank di Sarajevo. In quelle righe lei tredicenne immagina di confidarsi con un’amica chiamata Mimmy
Un’allieva di Magda legge.  Una foto di Zlata
Domenica 17 ottobre 1993
Cara Minny,
ieri i nostri «amici su in collina» ci hanno rammentato che sono sempre là, e che possono uccidere, ferire, distruggerci… Ieri è stata davvero una giornata spaventosa.
590 bombe. Dalle 4,30 del mattino fino alla sera. Sei morti e cinquantasei feriti. Questo è il bilancio della giornata di ieri. Souk-bunar è stato il quartiere più preso di mira. Non abbiamo notizie di zia Melica. Dicono che metà delle case siano state sventrate.
Siamo scesi in cantina. In quella fredda, buia, stupida cantina che odio con tutte le nostre speranze. Sembrava che non dovesse più accadere, che fosse la fine, che tutto sarebbe finito ben presto. CHE QUESTA STUPIDA GUERRA SAREBBE TERMINATA!
Signore perché rovinano tutto quello che abbiamo? A volte penso che sarebbe stato meglio se continuassero a bombardare; eviteremmo così di dover fare la terribile fatica di riabituarci. Si tira un attimo il fiato, e poi tutto RICOMINCIA. Sono convinta che non finirà mai. Alcuni non vogliono che finisca, gente malvagi che odia i bambini e la gente come noi.
Continuo a pensare che siamo da soli in questo inferno, che nessuno pensa a noi, che nessuno ci sta dando una mano. Invece ci sono delle persone che pensano a noi e a cui noi stiamo a cuore.
Ieri la troupe della televisione canadese è venuta insieme a Janine per vedere se siamo riusciti a sopravvivere a quei folli bombardamenti. Un gesto gentile. Umano.
E quando abbiamo visto che Janine era venuta con un sacco di provviste, siamo scoppiati a piangere. C’era anche Alexandra.
Le persone umane si preoccupano di noi, pensano a noi, quelle disumane ci vogliono distruggere. Perché? Mi chiedo in continuazione: perché? Noi non abbiamo fatto niente. Siamo innocenti, ma impotenti! Zlata.
 
Fabio
La cantina che odio con tutte le nostre speranze: che frase potente!
In queste righe è contenuto un messaggio a cui non c’è bisogno di aggiungere nulla: le persone che hanno il diritto di chiamarsi davvero umane sono quelle che si preoccupano degli altri.
 
Rimane la foto di Zlata
Magda.
Una cosa però l’aggiungerei. Non sono parole mie, le ha scritte Izet Sarajlić, personalità culturale molto nota, storico, filosofo ma soprattutto poeta. Non volle mai lasciare Sarajevo per tutto il periodo dell’assedio nel corso del quale perse due sorelle. Negli ultimi anni di vita – morì nel 2002 – fu molto legato all’Italia anche perché amico personale del poeta Alfonso Gatto. La poesia che ti propongo, tratta dalla raccolta Chi ha fatto il turno di notte, è stata scritta molto prima, addirittura nel 1959. Con il suo richiamo globale alla storia e alla responsabilità di noi adulti mi pare  particolarmente adatta allo spirito del ciclo inaugurato oggi. Con  essa vorremmo concludere.
Leggicela, per favore
 
Fabio
Voi tutte Tamara, prendetela.
In dono vi offro stasera tutta la storia fino a oggi,
tutte le sofferenze umane da Adamo ed Eva.
Se la vostra vita non sarà migliore di tutte le nostre
non accusate le stelle ma i padri.
 
 

[1]  È di ieri, 7 febbraio, la notizia dello scoppio di violente proteste sociali in Bosnia e nella stessa Sarajevo. Si contano almeno 200 feriti. Da più parti essa era stata annunciata come inevitabile. Dopo la guerra (1992-95) il Paese non ha ancora raggiunto nemmeno il livello dello sviluppo precedente al conflitto, con la disoccupazione al 46% – solo nel cantone di Tuzla (dove è iniziata la protesta) vi sono centomila disoccupati contro gli 80mila che hanno un lavoro. Sotto accusa sono i criteri con cui è stata condotta la politica di privatizzazione che ha portato alla chiusura di varie fabbriche.

 

464 _ Introduzione al ciclo La Grande Guerra e il Novecento (Parte III) (09.02.2014)ultima modifica: 2014-02-08T17:32:37+01:00da piero-stefani
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