463 – Introduzione al ciclo “La Grande Guerra e il Novecento Europeo” (II parte) (02.02.2014)

Il pensiero della settimana n. 463

 

Parte  II

 

Foto di Francesco Ferdinando.

Brevissima  pausa

Dialogo su un erede al trono mai diventato imperatore

Magda

in contemporanea all’inizio del parlato si cambia l’immagine: foto di un gran cervo ucciso.

Quando penso a Francesco Ferdinando mi accorgo di conoscere solo qualche aneddoto, peraltro piuttosto truce. Mi hanno detto, per esempio, che fosse un vero e proprio maniaco della caccia. Nei suoi diari computava con scrupolo le prede. Pare che abbia ucciso 5000 cervi e centinaia di migliaia di altri animali. Tenere la contabilità di viventi fatti fuori a miriadi non è anagrafe esaltante. Però, stando a una storia leggendaria, alla fine, la sua smodata passione gli sarebbe stata fatale. Si dice, infatti, che pochi mesi prima di essere assassinato avesse colpito a morte un camoscio albino e, secondo una credenza salisburghese, chi compie una tale uccisione è destinato a morire, a propria volta, entro un anno. L’Arciduca, per scaramanzia, si sarebbe fatto cucire addosso una camicia, ma ciò, come ben sappiamo, non gli bastò.

Foto di Francesco Giuseppe

So anche che intratteneva rapporti piuttosto tesi con il Kaiser Francesco Giuseppe. L’imperatore annotò nel suo diario che: «nelle nostre discussioni vi erano sempre tuoni e fulmini ». Visto che nell’immaginario mass-mediatico Vienna è tuttora la città dei walzer e degli Strauss, se non fossimo sull’orlo di un’immane tragedia verrebbe voglia di commentare i tempestosi colloqui tra zio e nipote con la polka veloce Unter Donner und Blitz, appunto sotto tuoni e fulmini: l’abbiamo ascoltata tante volte nel concerto di Capodanno.

breve  stacco musicale tratto dalla polka di Strauss

Ma alla fin fine, al di là di qualche aneddoto, mi rendo conto di sapere troppo poco di Francesco Ferdinando.

 

Una diversa foto di Francesco Ferdinando

  Fabio

  Per non mutare subito il clima, comincerò anch’io con un’osservazione minore, ma del tutto appropriata nella nostra città. Il nome completo dell’Arciduca era Francesco Ferdinando Luigi Giuseppe d’Austria-Este. Cosa c’entrano gli Estensi, mi chiederai? Una ragione c’è. Con la morte nel 1875 dello spodestato duca di Modena Francesco V la dinastia estense cessò. Nel suo testamento l’ultimo Este decise, quindi, di lasciare a Francesco Ferdinando, allora dodicenne, gran parte delle sue proprietà private a patto che assumesse il nome della sua casata. A causa di ciò parlare di lui in palazzo Paradiso è dotato di qualche suggestione aggiuntiva.

 Ma è tempo di muoverci verso scenari più grandi.Tutto ruota attorno al fatto che Francesco Ferdinando era l’erede al trono dell’Impero austro-ungarico. Era figlio di un fratello dell’ormai ultraottantenne Francesco Giuseppe. Suo cugino Rodolfo si era suicidato nel 1889, suo padre Carlo Ludovico era morto nel 1896; perciò sarebbe toccato a lui governare quella che, nonostante molti recenti rovesci, andava considerata ancora una delle grandi potenze mondiali. Tutto lasciava prevedere che non sarebbero dovuti passare molti anni prima che fosse diventato imperatore. Il futuro del regno di Austria e quello di Ungheria sarebbero stati presto nelle sue mani; se così fosse stato, probabilmente dopo un po’ l’Impero austro-ungarico avrebbe mutato nome.

Foto del francobollo

Magda

A sì, qui mi oriento, ci troviamo di fronte all’imperial-regio governo. Mi torna irresistibilmente in mente Robert Musil e il suo in-finito (nell’ambivalenza del termine) romanzo Un uomo senza qualità, ambientato nella Kakania austro-ungarica. Là ogni attività statale, ogni decreto, ogni proclama era kaiserlich-königlich, secondo le iniziali pronunciate alla tedesca ka-ka. Imperiale in quanto asburgico, regio in quanto austriaco o ungherese. Secondo Musil tutto in quelle terre era all’insegna del paradosso. Così scrive:

«Ufficialmente il nome dello Stato era Monarchia austro-ungarica. Chi ne parlava tuttavia la definiva soltanto Austria, chiamandola cioè con il nome a cui rinunciò  – aggiungo nel 1867 – con un solenne giuramento reale (…) Secondo la costituzione lo Stato era liberale, governato però con spirito clericale. Il governo era di spirito clericale, la vita era di spirito libertino. Ogni cittadino era uguale davanti alla legge, ma non tutti rientravano nella categoria di cittadino. C’era anche un parlamento ma fece uso tale della propria libertà da rimanere per la maggior parte del tempo chiuso (…) In questo paese si fece continuamente il contrario di ciò che si pensava, oppure si pensava il contrario di ciò che si faceva (…) Sì, nonostante all’apparenza sembrasse il contrario, Kakania dovette pur essere un paese per geni, e fu probabilmente questa la sua rovina».

Ma tornando al nostro Francesco Ferdinando perché dici che con lui sarebbe scomparso il ka-ka?

Foto di una mappa dell’Impero asburgico di quell’epoca

Fabio

In realtà non ho alcuna certezza – ammesso che di certezze si possa parlare in un discorso altamente ipotetico – che sarebbe scomparso il ka-ka, quello che sarebbe cambiato sarebbe stata la dualità austro-ungarica. Qui è necessario ripassare un po’ di storia. Cercherò di non essere noioso.

L’impero asburgico era, per definizione, sovranazionale o, se preferisci, multinazionale.

Vale a dire, le nazioni rappresentavano ambiti etnico-cultural-linguistici senza rispondenza sul piano politico-istituzionale. È evidente che l’affermarsi dell’idea ottocentesca di stato-nazione avrebbe costituito per l’impero asburgico un colpo mortale. Lo si percepiva già alla vigilia del fatidico ’48.

Ricordi i versi di Sant’Ambrogio di Giuseppe Giusti? Te li recito dal punto in cui il poeta comincia a commuoversi al suono di «un canto tedesco lento, lento»

 

 Sentìa nell’inno la dolcezza amara
de’ canti uditi da fanciullo; il core
che da voce domestica gl’impara,
ce li ripete i giorni del dolore:
un pensier mesto della madre cara,
un desiderio di pace e di amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio.

E quando tacque, mi lasciò pensoso
di pensieri più forti e più soavi.
«Costor», dicea tra me, «Re pauroso
degl’italici moti e degli slavi,
strappa a’ lor tetti, e qua senza riposo
schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
gli spinge di Croazia e di Boemme,
come mandre a svernar nelle maremme.

A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d’occhiuta rapina,
che lor non tocca e che forse non sanno:
e quest’odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all’alemanno,
giova a chi regna dividendo, e teme
popoli avversi affratellati insieme.

Lasciamo la poesia e ricominciamo a parlare un po’ di storia. La rivolta ungherese fu sventata a fatica nel 1849 grazie anche all’aiuto di slavi e romeni. L’impero di Francesco Giuseppe, salito al trono diciottenne proprio in virtù degli sconvolgimenti quarantotteschi, sarebbe però andato incontro ad altri traumi. Per farla breve, con la guerra austro-prussiana del 1866 (la sua appendice italiana è stata la Terza guerra d’indipendenza) l’impero austriaco subì un altro duro colpo. A causa di ciò si decise di attuare una radicale riforma costituzionale creando la duplice monarchia austro-ungarica. Ai magiari era stata dunque concessa una posizione egemonica accanto all’etnia tedesca all’interno dell’impero. Da questa sistemazione chi ci ha rimesso di più?

 

Magda

Anche se le mie conoscenze storiche non sono molto solide, qui basta la logica: suppongo gli slavi.

 

Fabio.

È proprio così, specie quelli del sud. Di passaggio “sud” in serbo-croato si dice jug.

 

Magda

Ah! Quindi Jugoslavia vuol dire la terra degli slavi del sud?

 

Fabio

Esatto. Tralascio tutte le complesse vicende collegate alla cosiddetta questione d’Oriente, al Congresso di Berlino del 1878, su su fino alle guerre balcaniche del 1912 e del 1913. In conclusione, in quella travagliata area da un lato si registrava una insanabile antitesi tra l’Impero austro-ungarico e quello russo, mentre dall’altra prendevano sempre più piede i movimenti nazionalistici che aspiravano all’indipendenza e all’unificazione degli slavi del sud. Il Regno di Serbia, ortodosso e con la sua lingua scritta in cirillico, orbitava nella sfera degli zar, mentre la Croazia, cattolica e con la sua lingua – del tutto simile al serbo – scritta in caratteri latini, era parte integrante del’impero austro-ungarico.

 

Magda

Ti ringrazio molto dei tuoi ragguagli, il quadro mi si sta decisamente chiarendo. Tuttavia il nostro Francesco Ferdinando sta ancora sullo sfondo. Cosa c’entra in tutto questo discorso?

 

Fabio

L’Arciduca era il più autorevole sostenitore della cosiddetta triplice monarchia. Vale a dire accanto all’Austria e all’Ungheria voleva concedere uno spazio istituzionale paritario anche agli slavi. Si rendeva conto che per salvare l’Impero bisognava attuare ancora una volta delle riforme radicali. Ma proprio per questo era particolarmente avversato dagli indipendentisti slavi che vedevano nelle sue proposte una lusinga per molti loro compatrioti. Ecco spiegato quanto dicevo prima: se fosse diventato imperatore probabilmente avrebbe mutato l’austro-ungarico in qualcos’altro.

A  questo punto però lascerei la parola a uno storico, anzi a qualcuno che fu più di uno storico: una delle coscienze civili dell’Italia. Mi riferisco a Leo Valiani. Di origine ebraica alla nascita si chiamava Weiczen. Si era nel 1909 a Fiume, città allora appartenente all’impero austro-ungarico. Sappiamo dell’ antifascismo di Valiani, della sua attiva partecipazione alla Resistenza, del fatto che l’amico Pertini, con cui aveva partecipato all’organizzazione della sollevazione del 25 aprile, lo creò senatore a vita. Una delle sue opere storiografiche più importanti si intitola la Dissoluzione dell’Austro-Ungheria. Risale agli anni sessanta, ma è ancora valida.

Te ne leggo un passo; ma no, leggilo tu stessa.

 

 Magda

 

«Fra i progetti di Francesco Ferdinando, principe di mentalità assolutistica, ma dotato di una non trascurabile capacità intellettuale e d’indubbia serietà morale, figurava […] la volontà di risaldare la compagine dello Stato e di consolidare l’autorità e la popolarità della Corona, con l’equiparazione effettiva di tutte le nazionalità dell’Impero, e dunque, con la smobilitazione della supremazia se non dei tedeschi, certamente di quella, assai più pesante, dei magiari, sulle nazionalità slave e romena che nel 1848-49 avevano salvato la dinastia, opponendosi con le armi alla rivoluzione ungherese.[…] Francesco Ferdinando nel 1895 e nel 1913, con una continuità rimarchevole dati i mutamenti del ventennio intercorso, [disse] che l’introduzione del dualismo nel 1867 era stata una catastrofe e che, ascendendo al trono, egli intendeva ripristinare un forte potere centrale unitario, ma lo riteneva possibile solo con la contemporanea concessione di larghe autonomie amministrative a tutte le nazionalità della monarchia».

Sarà stato un  cacciatore maniacale, ma certo non fu un personaggio banale.

 

Foto del Kaiser  Guglielmo II e di Francesco Ferdinando

 

 Fabio

 

La figura di Francesco Ferdinando ha vari volti, oltre ad avere una mentalità assolutistica, come dice Valiani, secondo alcuni interpreti era anche un militarista; altri storici in proposito sono più cauti. Si è invece concordi nel rilevare una forte affinità ideologica e temperamentale con il Kaiser tedesco Guglielmo II. Inoltre avevano una spiccata simpatia reciproca.

Non siamo certo qui nelle condizioni di sviscerare il discorso, difficile e articolato, sulle cause che scatenarono il conflitto; limitiamoci perciò a una constatazione incontrovertibile: dopo la Prima guerra mondiale l’Europa, e non solo essa, non è stata più quella di prima.

Il crollo di tre imperi plurisecolari, l’asburgico, il russo e l’ottomano ha prodotto conseguenze ancora percepibili anche a un secolo di distanza. Per il quarto impero collassato a causa della guerra, mi riferisco, va da sé, a quello tedesco, il discorso è in parte diverso; in tal caso il peso del “dopo” è enorme. Così anche qui, proprio come abbiamo fatto prima parlando di Terezìn, siamo costretti a intravedere all’orizzonte l’ombra bruna del nazional-socialismo.

 

Foto: la giacca insanguinata di Francesco Ferdinando

 

Ma torniamo al fatidico 28 giugno 1914, allora non lo si sapeva; tuttavia da quella giornata si è innescato un processo che ha posto la parola fine a un intero mondo. Per richiamare quell’evento più che rintocchi anti-napoleonici della marcia funebre beethoveniana, uditi in precedenza, conviene ascoltare una musica più preveggente della prossima Finis Austriae, mi riferisco alla quinta sinfonia di Gustav Mahler eseguita per la prima volta nel 1903.

Magda

Sarà di sicuro il famoso Adagetto, scelto da Luchino Visconti in Morte a Venezia per sottolineare musicalmente un’altra forma di disfacimento.

Fabio

Mi spiace contraddirti, pensavo piuttosto al primo movimento che è una marcia funebre. Un brano musicale non privo di tratti di grottesca ironia, infatti in esso si propone una rielaborazione volutamente deformata del cosiddetto tema del destino della Quinta di Beethoven. Gli spiriti acuti, ai primissimi del Novecento, percepivano già che un’intera epoca era in procinto di chiudersi.

Una breve, ma non brevissima, sezione del primo movimento della Quinta di Mahler

463 – Introduzione al ciclo “La Grande Guerra e il Novecento Europeo” (II parte) (02.02.2014)ultima modifica: 2014-02-01T10:22:10+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo