385. Il corpo e l’immagine (06.05.2012)

Il pensiero della settimana, n. 385

 

 Gesù compì gesti. Risanò toccando corpi malati, rovesciò banchi dei cambiavalute, mangiò assieme ai peccatori, lavò i piedi ai propri discepoli, gettò sguardi carichi di affetto, abbracciò bambini; si lasciò toccare i vestiti, lavare i piedi con le lacrime, baciare, profumare il capo; subì la violenza delle percosse e dei chiodi. Come per tutti anche per Gesù il corpo è il luogo per eccellenza della comunicazione e della relazione. Nei vangeli la corporeità è posta in grande evidenza. Gesù è un uomo che, oltre a parlare alle folle, incontra persone. Perciò la parola, il mezzo fondamentale per comunicare l’evangelo, non gli basta.

In Gesù nessun ruolo è affidato all’immagine. Non ci sono suoi ritratti. Fin dall’antichità l’immagine è legata al potere. Sulla moneta del tributo vi è il ritratto  di Cesare. L’immagine è l’espediente per rendere presente chi in effetti non è lì. Statue e insegne avevano questo scopo. Ciò vale anche per l’ostensione del potente davanti alle folle. Anche Gesù vi fu sottoposto nell’«ecce homo»; ma ciò avvenne in maniera paradossale. Egli è soggetto ai riti del potere come colui che li subisce, non come chi li sfrutta.

Il corpo è il luogo della relazione diretta. Di contro un esteso potere si afferma, di solito, attraverso rapporti indiretti. Chi lo esercita deve essere presente al di là dei confini legati alle relazioni interpersonali. Per questo i capi delle nazioni debbono mostrarsi e dove non arriva la loro immagine immediata si ricorre a dei sostituti.

Si può ipotizzare che proprio la disgiunzione tra presenza e immagine costituisca una delle ragioni  per cui i vangeli, che pur tanto parlano della corporeità di Gesù, non riportano alcuna sua descrizione fisica. Nulla sappiamo della sua statura, dei suoi occhi, dei suoi capelli, del suo incedere; vale a dire dei tratti caratterizzanti le biografie classiche. I vangeli raccontano solo fatti e trasmettono detti. I riferimenti al corpo sono in funzione di queste situazioni.

Non ci sono ritratti; forse ci sono immagini, ma solo in situazioni «altre». Le apparizioni del Risorto, che tanto peso hanno avuto nell’elaborazione della fede primitiva, rasentano infatti la sfera dell’immagine. Forse per questo sono state considerate come una forma solo temporanea di una presenza che poi va testimoniata attraverso la parola.

Qui si apre il problema immenso di sapere perché, a partire da questa descrizione solo funzionale di gesti, sia sorto un patrimonio iconografico senza uguali. Ovunque ci imbattiamo in ritratti di Gesù. Di contro nei vangeli la sua è una presenza priva di immagini. È così perché si descrive una relazione corporea diretta; è così perché c’è la promessa di un «esserci» non visibile: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt  18,20). Lo stesso vale per il pane e per il vino. Sono forme di presenza invisibili, silenti e spoglie di potere. Di contro il potere legittimo (gli altri non a caso si chiamano occulti) è di solito connesso a una presenza manifesta e indiretta, fatta  di «segni» e «insegne».

 Gesù, quando fu interpellato se fosse lecito o meno pagare il tributo a Cesare, si fece dare la moneta (lui in proprio ne era sprovvisto) e si fece dire di chi era l’immagine impressa su di essa. Anche quando non  raffigurano imperatori, i soldi sono sempre immagini del potere (non limitato a quello di acquisto). Sono portavalori universali perché astratti e convenzionali. In se stessi non hanno alcun valore d’uso perché tutto in essi si risolve nel valore di scambio. Per questo il denaro può essere  a sua volta sostituito da forme ancora più virtuali di rappresentazione, senza che ciò ne muti l’efficacia. Specie nel XIX secolo, quando l’elettronica era lungi dal venire, si è riflettuto a lungo su ciò: sono pensieri divenuti desueti. Eppure l’affinità profonda tra civiltà (o barbarie) dell’immagine e quella del denaro si conferma ogni giorno di più.

Come tutti sanno, oggi anche il corpo viene subordinato sempre più all’immagine. La sua peculiarità più diffusa sta ormai nell’apparire. Ciò è molto affine all’universale prevalere del «denaro» sulle «cose» proprio dei nostri tempi. Si parla ormai solo di conti, bilanci, deficit, debiti, tasse e di vite schiacciate o auto-estinte a causa dell’eccedenza del mondo dell’immagine costituito dal denaro rispetto a quello del corpo e della relazione. Tutto appare subordinato al denaro e quando esso o i suoi sostituti mancano è come se tutto venisse meno.

Piero Stefani

 

385. Il corpo e l’immagine (06.05.2012)ultima modifica: 2012-05-05T07:34:00+02:00da piero-stefani
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Un pensiero su “385. Il corpo e l’immagine (06.05.2012)

  1. il dio mammona! Era anche implicito nell’episodio del vangelo citato: secondo alcuni quel “date a Cesare…” è proprio un’accusa ai farisei che lucravano sia col denaro del tempio che con la moneta “effigiata” romana, anche se ciò era contrario alla loro fede. Ma oggi il dio denaro è un dio ancora più potente di allora perché si è camuffato con la tecnica e la scienza, ovviamente entrambe fasulle, e come un nuovo Baal vuole i suoi sacrifici umani, ma vallo tu a spiegare alla gente! Eppure la crisi economica potrebbe essere una bella occasione per migliorare tante cose della nostra società e del modo di vivere.

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