360. Il venir meno di una ‘cattiva fiducia’

Il pensiero della settimana, n. 360

 

 

Fiducia è una parola varia e radicale. Varia perché si colloca in più contesti. Essa svolge un ruolo decisivo in relazione tanto a se stessi quanto sul piano interpersonale, politico, economico-finanziario e religioso. Radicale perché le spetta, quasi sempre,  l’ultima parola, specie sul fronte negativo. Quando scompare la fiducia tutto viene meno. Allora non si possono trovare né palliativi, né  sostituti.

 In più occasioni in campo politico  in certi contesti ha dominato  la repressione, atto in cui la paura – se non il terrore – prende il posto della fiducia. Eppure, per quanto questa fase possa durare a lungo e produrre enormi cumuli di sofferenza, essa non è permanente. La violenza esercitata dal tiranno non equivale a quella di un terremoto. Perché si compia, essa deve passare attraverso persone che, per interesse o convinzioni perverse, mettono in pratica ordini iniqui. Anche queste situazioni però mutano; allora, negli esecutori, scompare la fiducia nei capi. Ciò ha luogo quando si scopre di essere stati ingannati. La disillusione può essere di alto profilo allorché si aprono gli occhi sull’inattendibilità degli ideali per i quali si è combattuto, o può collocarsi a livello inferiore se ci si rende semplicemente conto che non si è più nelle condizioni di trarre i vantaggi sperati. Quando subentra questa fase il sistema crolla. Secondo un detto antico, anche una banda di briganti si dissolve non appena dilaga la sfiducia reciproca.

Al pari della paura, anche l’inganno è in grado di prendere, per un certo tempo, il posto della fiducia. In fin dei conti, esso non è che una fiducia in maschera: funziona sola nella misura in cui è celato. Una volta scoperto, si dissolve come bruma al sole. Quando lascia vedere quel che sta dietro è finita. La foschia diventa però nebbia nel caso in cui l’inganno sia reciproco. Fin che dura questa situazione domina il tornaconto che l’uno lucra alle spalle dell’altro; tuttavia, anche se più lentamente, pure in questi casi, prima o poi, una delle due parti scopre che l’inganno altrui non è  più funzionale al proprio vantaggio.  Il gioco allora si arresta.

Il mercato è, da sempre, uno degli ambiti in cui l’onestà può essere parzialmente supplita da una disonestà reciproca. Tuttavia anche lì, alla fine, qualcuno dirà, con fondamento, che l’ honesty è la miglior politica. Il che, detto per altro verso, significa che le bugie hanno le gambe corte a motivo del fatto che il loro necessario infittirsi (assai più di quanto avvenga per le ciliegie, una bugia tira l’altra) mina, dall’interno, lo scopo originario per cui esse erano state  messe in campo. Quando si è sul mercato e si perde fiducia che gli inganni dell’altro possano essere funzionali ai propri vantaggi, il crollo del primo ingannatore diventa certo. La speculazione è, appunto, un terreno retto da questo meccanismo che condivide con il mitico Crono l’abitudine di mangiare i propri figli.

Sfiduciato e commissariato, il nostro paese attraversa, sul piano sia internazionale sia interno,  una crisi di fiducia senza precedenti. Si trova in queste condizioni perché  a lungo ha vissuto in base a una “cattiva fiducia” fondata sulla comune accettazione di un reciproco inganno. Questa situazione spiega perché esista una dilagante sfiducia nelle istituzioni e nella classe politica (che forse non ha ancora del tutto intaccato l’iceberg del Quirinale) da parte di un’opinione pubblica che, in larga misura, condivide lo stile di vita dei suoi governanti.

Sì è replicato all’ultimo, tentato inganno dei «ristoranti pieni» affermando che sono tali anche le mense della Caritas. Il che è vero; tuttavia nella situazione attuale, questa constatazione è meno pregnante del fatto che sono proprio i frequentatori dei ristoranti a essersi trasformati nei  più sensibili “ripetitori” di una sfiducia che trova la sua origine in potenti “emittenti” internazionali. Stando alle statistiche l’Italia è una terra di famiglie ricche e di Stato indebitato fino al collo. La “cattiva fiducia” legata a questo inganno ha retto per decenni; ora, però, è  giunto il tempo in cui ci si è accorti che il benessere privato di molti (che non pur non si lasciano turbare dalla povertà  altrui)  non può restare indifferente rispetto al dissesto della finanza pubblica.

Alle spalle della svolta attuale non c’è stato nessun autentico, diffuso e irreversibile  sussulto etico del nostro paese. Ecco perché la parte dell’opinione pubblica sana,  vissuta per lunghi anni nell’umiliazione, ora non può esultare. Proprio il suo senso critico la persuade che la necessità di ricostruire, in Italia, una “fiducia buona” è un compito ancor più arduo di quello, quasi disperato, di mettere ordine nei conti pubblici. Nei rapporti interpersonali ci è ancora dato di sperimentare che non vi è nulla di più risanante di una relazione in cui si riceve e si dona  fiducia. A volte si tratta di esperienze tanto profonde da toccare il nocciolo stesso del vivere. Alla vita pubblica non è richiesto di raggiungere simili intensità; le spetta, però, di essere consapevole dei disastri prodotti da una gestione del potere ingannevole, dissennata e pervicacemente incapace di arrendersi al fatto che la “buona fiducia” costituisce un ingrediente  indispensabile per ogni autentico risanamento della vita collettiva.

 

Piero Stefani

360. Il venir meno di una ‘cattiva fiducia’ultima modifica: 2011-11-12T06:00:00+01:00da piero-stefani
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