294 – Il papa di fronte alla pedofilia (16.05.2010)

Il pensiero della settimana, n. 294

  

Benedetto XVI è sinceramente angosciato. Lo scandalo della pedofilia gli pesa e lo consuma. Agisce in modo aperto e coraggioso; ma gli fa velo il suo stesso orizzonte interpretativo. Non è all’altezza del problema che lo schiaccia.

La sua presa di posizione più ampia e argomentata sul tema è la lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda  (il documento è datato 19 marzo 2010, si trova, oltre che sul sito vaticano, in Regno-documenti  7,2010, pp. 193-200.). Si tratta di un documento assai più utile per comprendere questo pontificato che per individuare linee guida capaci di affrontare in modo concreto la questione. Nei suoi limiti la lettera pastorale è un’espressione autentica del pensiero di Benedetto XVI; essa non alimenta nessun sentimento di aggressività nei confronti del papa; al contrario suscita piuttosto un senso di umana solidarietà nei confronti di Joseph Ratzinger, una persona non attrezzata a reggere la sfida enorme che gli si para davanti.

La fermezza è fuori discussione, la gravità del male non è attenuata, le coperture e gli insabbiamenti sono denunciati. In riferimento a questo modo di procedere la nostra povera Chiesa può vantare qualche non effimera eccedenza rispetto alle classi dirigenti laiche. Tuttavia la lettera pastorale lascia sconcertati quando invita i cattolici irlandesi a ispirarsi alla loro grande storia religiosa da S. Colombano fino al XX sec. Né essa persuade  quando addita nella modernità e nella secolarizzazione l’origine di questo male. Secondo il papa, poi, è stato il clima postconciliare a favorire, attraverso la mancata applicazione delle pene canoniche, il ricorso a una specie di psuedomisericordia priva di discernimento.

L’analisi proposta è errata sul piano storico e insufficiente su quello antropologico. Molti casi oggi esplosi risalgono addirittura agli anni cinquanta, quando l’Irlanda era cattolicissima e il Vaticano II di là da venire. Il dato avrebbe dovuto suscitare di per sé qualche sospetto e indurre ad ammettere  che i seminari e i collegi dei secoli scorsi – quando la cultura valutava l’infanzia  in modo ben diverso dall’attuale – non furono certo indenni da questo peccato: esso era praticato e occultato (d’altra parte allora i bambini non erano soggetti di diritto).

Quanto è frutto della contemporaneità è il fatto che – come opportunamente ricordato dall’ex maestro generale dei domenicani Timothy Radcliffe  (cfr. Regno -documenti 7,2010, pp.201-206) – la pedofilia è l’unico comportamento sessuale tuttora considerato reato dalla maggioranza dell’opinione pubblica occidentale. Tutto tra adulti consenzienti è permesso in senso sia etero sia omosessuale; di contro, la violenza sui bambini, per quanto di fatto praticata, suscita il pubblico sdegno. Alle spalle di ciò ci sono alcuni fattori di lunga durata. Tra essi ne vanno ricordati soprattutto due: da un lato il mutato atteggiamento nei confronti dell’infanzia (che prende le mosse quanto meno dall’epoca di Rousseau), dall’altro il peso assegnato alle scelte soggettive individuali. In Occidente i bimbi (tuttora sfruttati in molte parti del mondo e  afferrati nella spirale pedofila anche nelle società sviluppate) sul piano della retorica pubblica sono visti (al pari degli animali) come simbolo di innocenza. La sofferenza loro inflitta è perciò la peggiore fra tutte. Le scelte di stile di vita compiute dalla persone adulte consenzienti sono invece considerate manifestazioni della libertà individuale. Non occorre molto sforzo intellettuale per comprendere che si è di fronte a due facce della stessa medaglia.

La Chiesa cattolica ha lottato e tenta ancora di lottare contro il soggettivismo e il relativismo valoriale. Su questo fronte, rispetto alle legislazioni civili, grida spesso allo scandalo e presenta se stessa come il baluardo dei valori. Per questo motivo scoprire che dentro la Chiesa albergano pratiche condannate rispetto alla società diviene facile motivo di denuncia. Il procedimento diventa più tagliente quando investe l’unico, fragile steccato che ancora regge sul piano della pubblica condanna: la pedofilia. Inutile aggiungere che l’amplificazione mass-mediatica trova qui una ricca riserva di caccia; tanto più che (a differenza di quanto avveniva con il suo predecessore) la presenza di Benedetto XVI sui media laici richiama l’attenzione soprattutto quando lo si presenta, polemicamente, come un conservatore.

Per quanto concerne l’approccio antropologico un dato avrebbe dovuto invitare a guardare più in profondità: una certa parte dei violentatori da bambini furono a loro volta violentati. Introdurre la psicologia nei seminari e affermare che bisogna essere più rigorosi nel valutare i futuri candidati al sacerdozio, sono ovvietà che manifestano quanto fosse grave il fatto che non se ne sia tenuto adeguatamente conto in precedenza. Il discorso in realtà è più ampio. Le scienze umane hanno lanciato una sfida assai più vasta alla Chiesa. Essa può riassumersi nel modo profondamente diverso in cui oggi si deve rispondere all’antica domanda «che cos’è l’uomo?» (cfr. Sal 8,5). Che cos’è l’uomo se in lui albergano simili pulsioni, se è così fragile e plasmabile dall’ambiente, così condizionato da quanto lo ha preceduto e da quanto ha personalmente vissuto, così legato alla sua costituzione psicofisica? Solo se si affrontano di petto simili questioni  può aver ancor senso prospettare l’irrinunciabilità della  sfera spirituale legata al peccato. Non porta a nulla rivolgersi alla psicologia solo per aggiustare cocci o per somministrare  test ai futuri presbiteri.

Le risposte al male avanzate da Benedetto XVI sono ferme: pene canoniche, intervento dei tribunali civili, pratica penitenziale all’interno della Chiesa. Su questa linea – sia pur con accenti spirituali più intensi – si colloca anche il card. Martini   (cfr. l’intervista rilasciata da Eugenio Scalfari, La Repubblica, 13.5.2010). Insorge qualche domanda: qual è il senso della giustizia che informa il diritto canonico e quello civile? L’atto opportuno di non coprire nulla e di affermare che il reato va giudicato, non può esonerare dal sollevare la questione, specie in questo ambito, di come la giustizia sia esercitata all’interno della Chiesa e dello Stato.  Soprattutto va posta la domanda di quale spazio abbia in esse la soggettività della vittima. Il processo canonico sembra informato da una pratica della giustizia volta più alla punizione del colpevole che a sondare le possibilità di una riconciliazione con la vittima. Colto in quest’ottica esso si colloca  in un orizzonte angustamente clericale. Di contro, solo riconoscendo le vittime come parte integrante del popolo di Dio si può sperare di individuare un modo più consono di esercitare la giustizia umana, senza, con ciò,  rinunciare alla profonda dimensione spirituale legata alla misericordia divina.

Riferito alla pedofilia il tema della riconciliazione è difficilissimo e il tempo lasciato passare rappresenta un ostacolo effettivo e forse insuperabile. Tuttavia sarebbe un guadagno non da poco se le gerarchie ecclesiastiche, più che al codice di diritto canonico, guardassero al Sudafrica e alla sua Commissione «Verità e riconciliazione». Alcuni punti devono restare saldissimi: alle vittime va pienamente riconosciuto il ruolo di soggetti dotati del diritto alla verità, mentre la prassi penitenziale da parte del colpevole non dà a lui il diritto a essere umanamente perdonato, gli consente solo di stendere la mano come fa il mendicante, forse l’atto più umile e alto che ci è concesso di compiere  nella vita.

Piero Stefani

 

294 – Il papa di fronte alla pedofilia (16.05.2010)ultima modifica: 2010-05-15T23:23:00+02:00da piero-stefani
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