293 – Perchè mi sono dimesso… (09.05.2010)

Il pensiero della settimana, n. 293

 

Perché mi sono dimesso da direttore scientifico della Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah [1]

 

L’atto di rassegnare volontariamente le dimissioni da una carica si presenta, per definizione, tanto come ammissione di fallimento quanto come libera scelta di far prevalere la dignità della causa rispetto a una situazione giudicata non conforme ai compiti affidati all’istituzione in cui si opera. La scelta di dimettersi è, quindi, sia denuncia sia ammissione della propria incapacità di modificare la realtà in cui si opera.

Nella «Proposta storico-scientifica», ora allegata al bando internazionale di progettazione del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah,  si afferma che l’ingente impresa di costruzione del MEIS può aver successo solo se si attua una sinergia tra tre componenti: a) l’alta qualità del progetto architettonico; b) la solidità e l’originalità del progetto museale; c) l’organico inserimento del sito del futuro museo in una dimensione urbanistica. La realizzazione del museo esige quindi una collaborazione permanente tra la Fondazione MEIS e varie altre istituzioni, a iniziare dalla Direzione Regionale del MiBAC (stazione appaltante del bando di progettazione). Tutti i soggetti sono chiamati a cooperare per una causa comune. L’attuale linea di condotta del MEIS non si muove però in questa direzione. La Fondazione,  a causa di una gestione «padronale» e «impaziente» del suo Presidente, si è infatti finora presentata soprattutto come soggetto che pretende di ricevere servigi da parte degli enti pubblici, quasi che il MEIS fosse l’unico punto di riferimento del futuro museo.

Da questa impostazione consegue che le attività volte a cooperare in modo paritetico con altri enti (anche non istituzionali, cfr. per es. il corso di aggiornamento organizzato in collaborazione con l’ISCO di Ferrara) sono state sottovalutate (o a volte addirittura ostacolate), mentre sono state esaltate alcune iniziative autoreferenziali del MEIS, specie quando ponevano al loro centro la figura del Presidente in base alla massima «le MEIS c’est moi». Sotto questa ottica è eloquente il confronto tra l’enorme sforzo (anche finanziario) esercitato dal MEIS per organizzare la «Festa del libro ebraico in Italia» e il blando – o addirittura nullo – impegno a tutt’oggi da esso riservato alla diffusione del bando di progettazione del museo. È peraltro evidente che il futuro del MEIS dipende, in modo determinante, dalla presenza  di un progetto architettonico di livello internazionale.

La «Festa del Libro ebraico» è stata senza dubbio un successo superiore alle aspettative di molti (compreso il sottoscritto). Tuttavia non si può tacere – oltre la presenza di vaste zone d’ombra (cfr. l’intera sezione degli «incontri con l’autore») – il debole collegamento complessivo tra essa e il progetto museale. Né è secondario chiedersi se la Festa giustificasse l’esborso di 250.000 € di denaro pubblico (non è stata cercata alcuna sponsorizzazione).

La gestione «padronale» da parte del Presidente ha dato luogo a una serie di sistematici declassamenti  di altri ruoli previsti nella Fondazione, ivi compreso quello del direttore scientifico. Inoltre nel modo di agire del Presidente si sono registrate ripetute scorrettezze nella sostanza e forse anche nella forma. Tra esse va registrato l’atto che mi ha indotto a rassegnare le dimissioni nel febbraio scorso (a norma di contratto 90 giorni prima della scadenza). Si è trattato della proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. In violazione a una esplicita clausola prevista dal contratto, non solo mi è stata negata la collaborazione di esperti in museologia e storia indispensabili per dettagliare il progetto museale, ma non è stata presa neppure in seria considerazione la bozza di progetto messa all’odg  del CdA (palesemente non letta né dal Presidente, né da altri membri del CdA). La conclusione è semplice: non sono stato posto nelle condizioni di lavorare in modo conforme ai molti e impegnativi compiti affidati al direttore scientifico.

Tutto quanto ho detto ha un limite. Solo con il passare del tempo mi sono reso conto che la mia nomina (dicembre 2008) a direttore scientifico – da me per nulla sollecitata – dipendeva anch’essa, in larga misura, dall’esercizio «padronale» della carica da parte del Presidente. A norma di legge la proposta di nomina deve infatti giungere dal CDEC (Centro di Documentazione Ebraico Contemporaneo di Milano). Nel mio caso ciò è formalmente avvenuto, ma di sicuro non come atto spontaneo da parte dell’istituzione milanese, fatto che ha lasciato più di uno strascico nel proseguo. Dal suo punto di vista, Riccardo Calimani era dunque legittimato ad attendersi che mi dimostrassi a lui debitore e operassi in conformità a un esercizio del potere posto al di sopra dell’autorevolezza. L’ho capito tardi. L’adozione, nel limite del possibile, da parte del sottoscritto di una linea consona all’autonomia e alla dignità della carica e al rigore della ricerca ha progressivamente eroso le attese riposte nella mia nomina.

Il discorso potrebbe finire qui se non si fosse obbligati a evidenziare la lentezza dell’amministrazione comunale nel cogliere i pericoli insiti in questo modo di gestire la Fondazione. Il Comune di Ferrara ha un suo rappresentante nel CdA, il suo Segretario Generale ricopre la stessa carica anche all’interno del MEIS, attualmente la sede della Fondazione è presso lo stesso palazzo comunale, alcuni dirigenti e tecnici del Comune hanno dato un contributo insostituibile alla redazione del bando di concorso, ecc. Difficile sostenere che il Comune di Ferrara non sia coinvolto in prima persona e arduo presentarsi solo come ente ospitante di un’istituzione certo soprattutto nazionale  in quanto basata su una legge dello Stato italiano. A proposito del MEIS la capacità di intervento dell’amministrazione comunale è senza dubbio limitata, ma tutt’altro che trascurabile. Essa non può quindi chiamarsi fuori da ogni responsabilità, tanto più che, in varie occasioni, si è dimostrata prona rispetto a un modello di gestione della Fondazione propensa a servirsi delle istituzioni piuttosto che a collaborare con esse per uno scopo comune.

Franz Kafka ha definito l’impazienza «un’interruzione prematura di ciò che è metodico, un argine apparente intorno alla cosa apparente». Si tratta di una descrizione perfetta (quanto involontaria) dell’attuale gestione del MEIS. Per rimediare a  questa situazione occorre aver il coraggio di interventi radicali, primo fra tutti la nomina da parte del MiBAC  di due persone di alto profilo culturale  e morale che subentrino nel CdA ai due membri che si sono dimessi. Solo così si potrà sperare in un  – per ora poco probabile – mutamento di rotta.

Piero Stefani

 




[1]  Abbandonando, una tantum, lo spirito proprio di questa rubrica dedico il pensiero di questa settimana a un argomento personale

 

293 – Perchè mi sono dimesso… (09.05.2010)ultima modifica: 2010-05-08T17:22:00+02:00da piero-stefani
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