292 – La Parola e la Sindone (02.05.2010)

Il pensiero delle settimana, n. 292

 

Fa parte del nostro destino di eredi della moderna cultura occidentale aver introiettato un approccio storico ai testi antichi (siano o non siano sacri). Nella post-modernità si è colto il limite di questa impostazione critica senza tuttavia ritrovare l’innocenza di un commento capace di leggere le parole arcaiche a prescindere dalle circostanze in cui furono dette o scritte.  Non per nulla, il nostro tempo culturale è indicato con un venir dopo («post») che dichiara la propria implicita incapacità di ignorare quanto lo precede.

Ciò vale anche quando ci si trova di fronte alla pagina biblica. Per il credente, e solo per lui, si apre una specie di alternativa in virtù della quale ci si chiede se sia la «parola eterna» a risuonare come storica o se sia quest’ultima a trasmettere risonanze dell’Eterno. Se prevale la seconda ipotesi il senso della presenza di Dio si scopre  unicamente attraverso l’atto dell’interpretazione. La rivelazione sta non nella Scrittura presa in se stessa ma nel modo di porsi di fronte a essa accogliendola come parola che ci interpella pur provenendo da un tempo che non è più il nostro. In questo caso la dimensione del circolo ermeneutico può dirsi nei seguenti termini: ci si inchina davanti a un testo perché è sacro, mentre esso diviene tale anche in virtù del fatto che ci si inchina di fronte a lui.

Nell’interpretazione la pagina eccede la temporalità che l’ha originata  non a motivo della sua astoricità, bensì a causa di una paragonabilità di circostanze in cui la distanza storica  è mantenuta e negata a un tempo. La situazione di partenza è «loro» e non «nostra»; soltanto il modo di intendere la Parola, venerandola, la rende anche e soprattutto nostra. È proprio di una fede adulta essere interpellati da una Parola che si sa storicamente distante. Se il punto di partenza fosse costituito da avvenimenti, la lontananza sarebbe incolmabile. In realtà,  noi lettori siamo messi di fronte  non a dei fatti ma ai modi in cui essi vennero vissuti e interpretati  ed è stato proprio lo sforzo volto a dare a essi un determinato senso che rende la Parola attestazione di un significato eccedente offerto al suo attuale lettore. Se la Bibbia fosse cronaca, descrizione  letterale e fedelissima di quanto è  avvenuto non sarebbe parola di Dio.

Se è questo è il modo autentico di leggere nella fede la Parola è facile comprendere perché chi  accetta su di sé il primato della Bibbia sia per lo più distante dalla maniera corrente di intendere i miracoli e la venerazione delle reliquie. Né è occasionale notare l’incompatibilità, su questo terreno, tra la tradizione cattolica e il mondo della Riforma. Le norme di canonizzazione che (salvo nel caso dei martiri) richiedono di provare che siano effettivamente avvenuti dei miracoli sono penose. Esse infatti fanno dipendere l’accertamento di questi eventi dalla mancanza di spiegazioni di ordine scientifico. Spesso si cade perciò nell’assurdo che, almeno in una certa misura, a determinare la canonizzazione sia l’incapacità dei medici di trovare una qualche spiegazione a un fenomeno. Se Dio entrasse in quest’ambito sarebbe, per definizione,  consegnato alla funzione di tappabuchi.

Si possono venerare le reliquie? Forse sì, a motivo della simbologia, a volte molto alta, che trasmettono.Tuttavia questa possibilità è data in modo autentico soltanto quando si riesce a prescindere dal problema della loro autenticità. Se invece esso irrompe in modo prepotente il discorso si avvita su se stesso: negatori e sostenitori si trovano schierati su sponde opposte solo perché collocati sullo stesso terreno. Entrambi, per stabilire il vero e il falso, dipendono, volenti o nolenti, dalle scienze storiche o da quelle della natura. Essi perciò, per sostenere la loro tesi, tendono ad assolutizzare quanto è relativo e questa operazione si riflette, per forza di cose, nella sopravvalutazione dell’oggetto a cui si riferisce la loro venerazione o la loro confutazione.

Solo se fosse possibile prescindere da ogni discorso circa la sua autenticità o la sua falsità avrebbe senso andare a Torino per vedere la Sindone. C’è da dubitare che ci si trovi in queste condizioni. Resta in ogni caso certezza di fede che leggere e meditare la narrazione della morte di Gesù secondo i quattro evangeli costituisca  l’accesso più autentico per cogliere il senso della morte di Gesù. Nel credere, l’ascoltare prevale sempre sul vedere. Scrisse Kafka: «Chi crede non vedrà mai un miracolo. Di giorno non si vedono le  stelle».

Piero Stefani

292 – La Parola e la Sindone (02.05.2010)ultima modifica: 2010-05-01T12:03:00+02:00da piero-stefani
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Un pensiero su “292 – La Parola e la Sindone (02.05.2010)

  1. Si potrebbe osservare che le nostre modalità interpretative della temporalità dipendono da costrutti semantici storicamente e culturalmente determinati. Lo scientismo imperante ha imposto una nozione di verità che praticamente nessuno osa mettere apertamente in discussione. Eppure Schroedinger, non a caso appassionato sanscritista, irrideva le “bancarotte del razionalismo” e i relativi modelli ermeneutici.

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