216 – Nessun male storico è assoluto (14.09.08)

Il pensiero della settimana, n. 216.

 

Tornano  la polemiche sul fascismo. Molto ci sarebbe da dire, ma limitiamoci a un aspetto. Alemanno, dopo esserci purificato a Gerusalemme nel braciere di Yad wa-Shem,  torna in patria e dichiara che le leggi razziali furono sì un male assoluto, ma che il resto del fascismo non era proprio tutto da buttare. Il pensiero (che, in cuor loro, non pochi  esponenti della comunità ebraica romana non avrebbero difficoltà a condividere), suscita un vespaio di polemiche. Veltroni si sdegna e si dimette dal comitato per il museo romano della Shoah. Dire che c’era qualcosa di buono nel fascismo proprio non va. Il guaio è che quanto innanzitutto non si deve concedere  alla neodestra è proprio il suo ricorso all’aggettivo assoluto volto a etichettare leggi razzialie e Shoah. La loro sincerità si misurerà il giorno in cui smetteranno di legittimarsi correndo in Israele. Vadano piuttosto a Fossoli e dicano che lì più che il male assoluto vi sono precise responsabilità storiche italiane. In quel campo abbiano la decenza di affermare  che chi combatteva nelle fila della RSI, avesse o non avesse nell’animo l’amore di patria accreditatagli da La Russa, collaborò in modo oggettivo allo sterminio.

Occorre diffidare dai celebratori del puro orrore. Essi sembrano i più radicali, non di rado sono invece solo i meno responsabili. Chi attribuisce un supposto spessore metafisico al buco nero posto al cuore della storia del XX secolo è, troppo spesso, tentato di ritenere l’epoca attuale esonerata dal far i conti con le dinamiche che hanno condotto ai Lager. Esse, perciò, non intaccherebbero le nostre vite individuali o collettive.  Secondo l’etimo, anche qui «assoluto» vuol dire «sciolto da», vale a dire è una realtà isolata che non ci tocca. È adatto alle commemorazioni dell’irripetibile; al facile dirsi del «mai più Auschwitz». Di fatto chi parla così volta le spalle a quanto Primo Levi, e altri con lui, hanno giudicato il nucleo ultimo e nudo della testimonianza dell’«universo concentrazionario»: è successo, potrebbe succedere di nuovo. Siamo di fronte alla dimensione del possibile e a una voce che chiama alla responsabilità. La constatazione che è accaduto garantisce che quell’evento si inscrive nell’ambito dei fatti del nostro mondo nessuno dei quali è, per definizione, assoluto. Nella storia non si dà mai ripetizione dell’identico perché nulla, in noi e attorno noi, è immobile o perfettamente ciclico. Eppure bisogna saper scorgere anche nell’oggi il ripetersi, ingrigito, di dinamiche analoghe a quelle che hanno condotto ai campi di sterminio. Denunciarne l’orrore e persino piangere le vittime non è sufficiente se ci si esonera dallo scorgere le sottili metamorfosi del male e dell’indifferenza  che pervadono il nostro mondo. Etichettare le leggi razziali come  «male assoluto» è dicibile anche e soprattutto da parte di chi afferma che tutto ciò non ha nulla da spartire con provvedimenti discriminatori riservati ai rom o con leggi che contribuiscono a rendere il mare che circonda la nostra penisola un acqueo cimitero di povera gente. Infatti in questi casi si afferma che si tratta di ordine pubblico non di ideologia razzista.

Ripetere «potrebbe succedere di nuovo» non significa annacquare le differenze, stemperare i contorni. Al contrario, accogliere questa voce imperativa equivale a rifuggire dall’abuso ideologico che, con irresponsabile superficialità o con studiata tendenziosità, applica la parola «olocausto» (termine già in se stesso improprio) a ogni  tipo di distruzione o misura repressiva (specie se compiuta dagli israeliani). Il senso di quel richiamo è in effetti altro. Esso sta nel prendere coscienza che anche in quella situazione che, per molti e fondati motivi, bisogna chiamare estrema, apparvero comportamenti, sentimenti, modi di pensare e di reagire non estranei al tempo e all’ambiente in cui viviamo. Colta nel suo versante imperativo la ripetutissima espressione «banalità del male» equivale a prendere atto che l’insinuarsi della malvagità non abbisogna di condizioni abnormi. In altri termini, il male può subdolamente penetrare anche nella banalità delle nostre esistenze quotidiane.

Pensare a carnefici che mandano in cenere milioni di persone al modo in cui si sbrigano pratiche burocratiche comporta toccare un punto limite. Questa loro condizione estrema non esonera, però, dal vedere, oggi, dietro le carte di mancati permessi di soggiorno la presenza di tragedie umane. Il funzionario delle nostre questure che, a tutela dell’ordine pubblico, considera le persone nell’ottica dei documenti (e non viceversa, come sarebbe richiesto dalla dignità umana) non è paragonabile all’ufficiale delle SS che alla sera si bea all’ascolto di Beethoven dopo aver contribuito a mandare in fumo la razione quotidiana di ebrei e zingari. Tuttavia all’interno di questa diversità c’è spazio anche per un «eppure»… Qualche somiglianza sarebbe anche bene scorgerla. Sì, qualcosa di patologico si instilla nella nostre vite alla maniera in cui ci assalgono i virus. Il rischio, nell’uno e nell’altro caso, è di accorgersene troppo tardi.

Piero Stefani

216 – Nessun male storico è assoluto (14.09.08)ultima modifica: 2008-09-13T07:00:00+02:00da piero-stefani
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