215 – In ascolto del Cantico di frate Sole (seconda parte) – (07.09.08)

Il pensiero della settimana, n. 215

 

In ascolto del Cantico di frate Sole

(seconda parte) 

 

«Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature,

specialmente messor lo frate sole,

lo qual è iorno, et illumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:

de Te, Altissimo, porta significatione.»

 

I modelli biblici del Cantico cominciano da un mondo sottratto ai nostri occhi. Il salmo 148 inizia attribuendo la lode agli angeli che stanno nel più alto dei cieli (cfr. Dn 3,58). Francesco, secondo la tradizione, dettò le sue grandi parole dopo una notte di tormenti, con gli occhi fasciati e cauterizzati. Eppure in lui la lode è legata tutta e solo al mondo visibile. Il creato è, prima di ogni altra dimensione, quanto cade sotto i nostri sguardi. Per la Genesi la creatura primigenia di Dio fu la luce (Gen 1,3); tuttavia i due grandi luminari vengono solo al quarto giorno (Gen 1,14). Per Francesco invece tutto inizia da una radiosa materialità. Per lodare Dio non c’è bisogno di ascendere a cieli più alti di quelli illuminati dal sole di giorno e dalla luna di notte.

Molti possono essere i riferimenti chiamati in causa per giustificare la scelta di rendere il sole simbolo di Dio. Tra essi il più pertinente è quello che meglio si collega al verso «complicato» nel quale si afferma che Dio ci illumina attraverso di esso («et illumini noi per lui»). Il sole è nostro fratello, ma è anche «messor» («mio signore»), vale a dire è immagine visibile di quel «mi’ Signore» oggetto della perenne lode delle creature. Il sole è signore nello stesso modo in cui lo è Dio, vale a dire lo è perché si pone al servizio di qualcun altro. La sua bellezza e il suo eccelso splendore servono a illuminare quanto è prodotto dalla madre terra. In questo passo si coglie l’indelebile impronta lasciata nel cuore di Francesco dal Discorso della montagna: «siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni» (Mt 5,45). Matteo, per rafforzare il senso della premura divina riservata agli esseri umani, si è sentito obbligato a far ricorso all’aggettivo possessivo. Quel «suo», riferito a Dio, rimanda a una paterna cura che fa splendere su tutti il sole. La fratellanza trova fondamento nella paternità divina e la lode (come la benedizione) esige di mettere tra parentesi ogni «causa seconda», ogni indagine naturale al fine di scorgere nella semplice radiante esistenza del sole il segno della quotidiana misericordia esercitata dal Padre nei confronti  delle proprie creature viventi.

Nel Cantico siamo agli antipodi  del senso di insanabile frustrazione denunciato dal Qohelet: «Cosa resta all’uomo di tutto il faticoso lavoro da lui svolto sotto il sole?» (Qo 1,3). Per Francesco essere illuminati da colui che è a un tempo «messor» e «frate» significa già di per sé essere posti sotto la raggiante protezione del Padre le cui tenerezze sono estese a tutte le sue creature (Sal  145,9). Una lettura devota del Qohelet afferma che è vanità tutto quanto giace sotto il sole, ma lo stesso non può dirsi per quanto sta al di sopra di esso: si pensa di nuovo  ai cieli dei cieli; il Cantico però non ha bisogni di simili ascensioni.

Al sole corrisponde, in  basso, la terra. Se in cielo vi è un  visibile «messor» riflesso del Padre invisibile, quaggiù vi è una madre:

«Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,

la quale ne sustenta et governa,

et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba».

Anche la terra è posta al servizio di qualcun altro. Essa non è il fondale fermo e incurante evocato dal Qohelet: «Una generazione va una generazione viene, ma la terra immota sta» (Qo 1,4). Per comprendere i versi francescani occorre andare ad altri passi biblici; esattamente  all’ordine pronunciato dalla parola originaria: «La terra produca germogli, erbe che producano seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme […] la terra produca essere viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie» (Gen 1,10.24). Quando Francesco evoca la maternità della terra, egli, lungi dall’essere soggetto al retaggio di remote culture contadine, richiama la Bibbia. La presenza della lode ci indirizza altrove, verso una genesiaca, obbediente fecondità. Contro ogni regola naturale, la nostra madre è anche nostra sorella, lo è perché pure la terra esegue quanto comandatole dal suo Signore. A essa e a noi è chiesta un’uguale obbedienza.

L’azione provvidente della terra è di sostentare e governare i viventi. Nessuno tra coloro che abitano fuori dalla acque può continuare a sussistere senza attingere a quel grembo. Nella scelta di parlare di sostentamento e di governo  si è scorta un’allusione agli animali, presentissimi nella Genesi, nei biblici canti di lode e nella vita del poverello di Assisi, ma, inspiegabilmente, attestati in Frate sole solo nella forma indiretta e velata di dotte allusioni bibliche. Rispetto al testo della Genesi,  Francesco sembra persino voler attenuare l’accento posto sulla benefica azione della terra. Lo fa  introducendo un richiamo a quanto nella Bibbia manca: la gratuita esistenza di coloriti fiori. Né va dimenticato che essi, con eloquente inversione, sono posti dopo i frutti («et produce diversi fructi con coloriti fiori») e quindi sottratti alla sfera della utilità. La volontà di nascondere gli animali in un riferimento  allusivo e  di escluderli  da un esplicito coinvolgimento in una lode che vede come protagonisti sole, luna, stelle, fuoco e acqua cela un segreto. Non sarebbe difficile trovare conferma nella biografia del santo del fatto che questa presenza dissimulata ha a che fare con il problema della sofferenza degli animali. Dato citato anche da alcuni contemporanei di Francesco a prova del fatto che il creato racchiude in se stesso una cifra di atrocità incompatibile con la bontà divina.

«Altissimu, onnipotente, bon Signore». Non sono stati solo i moderni a chiedersi come fosse possibile, in faccia a questo mondo, conciliare tra loro la bontà e l’onnipotenza di Dio. Nell’epoca di Francesco i Catari, proprio per questo motivo, attribuivano a un malvagio demiurgo la creazione del mondo materiale. Come osservato da molti,  il Cantico è una consapevole risposta alla visione dualista a lui contemporanea: in esso, tutto il mondo materiale risplende e loda. Eppure le due qualifiche di «onnipotente» e «bon» sono tenute assieme solo in virtù di presentare Dio come «Altissimu», la qualifica più ripetuta in  Frate Sole (quattro volte). Mentre nel Cantico Dio non è mai  chiamato in modo esplicito Padre. Anche quando si parla il linguaggio della lode resta mistero altissimo dichiarare come il Signore possa essere a un tempo onnipotente e buono. Infatti si può affermare che è tale solo quando Egli  dà alle proprie creature la forza di mutare consapevolmente il negativo in altro; ma quest’ultima sembra essere una possibilità concessa agli uomini e preclusa agli animali:

Laudato si’, mi Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo Amore

Et sostengono infirmitate et tribulatione.

Anche qui, forse al di là dell’intenzione primaria del testo, si sarebbe tentati di interpretare quel «per» come un  «per mezzo», come un «grazie a» e non già come un «a motivo di». La riconciliazione interumana diviene lode al buon Signore nel momento in cui il cuore di colui che perdona avverte in se stesso di essere, a propria volta, perdonato dall’Altissimo; a propria volta nella tribolazione la lode è legata alla possibilità estrema di sentirsi, anche lì, amati da Dio. In questi versi del Cantico il lodante è senza dubbio Francesco. In quelle parole egli pone la sua vita, ormai prossima a chiudersi, all’insegna della speranza di incontrare in modo definitivo il Signore, buono e onnipotente, capace di sottrarre il proprio fedele all’ultimo annientamento:

«Ludato si’, mi Signore, per sora nostra Morte corporale […]

beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,

ka la morte secunda no ’l farrà male».

 

Piero Stefani

 

 

 

 

215 – In ascolto del Cantico di frate Sole (seconda parte) – (07.09.08)ultima modifica: 2008-09-06T07:06:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo