197 – Sulla via di Emmaus (23.03.08)

IL  FUTURO  DEL CATTOLICESIMO  ITALIANO

Il Regno – Camaldoli, 14, 15, 16 dicembre 2007

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  Il pensiero della settimana, n. 197

 

Come si vede dalla ‘cornice’, riproduco qui una meditazione tenuta a Camaldoli nel dicembre scorso. Il suo tema però riguarda questi giorni.

Un abbraccio di Pasqua a tutti. 

Sulla via di Emmaus

 (Lc 24,13-35)

 

   Sperare è verbo assai raro nei vangeli. L’uso in Luca è, in sostanza, profano (Lc 6,34; 23,8), mentre nell’episodio dei due discepoli che si incamminano verso Emmaus è detto al passato: «speravamo». I tre verbi delle virtù teologali, se coniugati al passato in prima persona singolare o plurale, dicono un rammarico, una delusione, un tempo chiusosi senza essere completato: «amavo, credevo, speravo…ora non più…».

Speravamo vuol dire non speriamo più. Si patisce una delusione. Anch’essa può essere esperienza  profonda, per la Bibbia conosciuta anche dal Signore: egli sperò che la sua vigna, vale a dire il suo popolo, producesse uva, ma ne fece solo di selvatica (Is 5,2). Eppure nei due discepoli tutto avviene troppo presto. Sono bastati tre giorni. Non ci fu in loro la capacità di quella speranza che nasce, come afferma Paolo, dall’essere in grado di pazientare attendendo (cf. Rm 5,4). La loro fu delusione precoce, ma essa è diventata anche figura di un tempo fattosi lungo di anni, decenni, secoli, millenni in cui Gesù risorto ci cammina a fianco nella storia, ma quasi nulla attorno a noi sembra attestarne la presenza. Ci è vicino e non lo riconosciamo, anche perché la resurrezione non ha mutato nulla in modo ostensibile. Il risorto, entrato nella sua gloria  (Lc 24,18), può essere preso per pellegrino (o, come nel IV Vangelo, per giardiniere, Gv 20,15); non c’è sfolgorio. Bisogna scorgerlo là dove c’è e là dove è nascosto, e sono lo stesso luogo.

A proposito di Cleopa e del suo anonimo compagno, Gregorio Magno afferma: ancora non credevano, ma parlavano di lui (Omelia XXIII). La delusione non è oblio, è il fumigare dello stoppino. Il nostro parlare non può essere ancora un compiuto credere, ma non è neppure un pieno dimenticare. Gesù ci si affianca in questo nostro ora. La delusione è filo esilissimo, ma è ancora un filo.

Nel leggere l’episodio di Emmaus Gregorio Magno si attiene costantemente al riferimento alla scena del giudizio finale contenuta nel capitolo venticinquesimo di Matteo. È lettura parziale che lascia sullo sfondo il tema decisivo dell’interpretazione delle Scritture, eppure è anche lettura efficace. «Prepararono la mensa, offrirono i cibi e riconobbero il Signore nel gesto del pane spezzato, mentre non erano riusciti a riconoscerlo nella esposizione delle Sacre Scritture. Quindi, quando ascoltarono i precetti di Dio, non ebbero luce ma solo quando li attuarono […] Il Signore non fu conosciuto quando parlava e si degnò di esserlo mentre riceveva l’ospitalità. Dice […] la stessa Verità: ‘sono stato straniero e mi avete ospitato’ (Mt 25,35) […] Offrite ora ospitalità a Cristo pellegrino, affinché nel giorno del giudizio non siate a lui stranieri e sconosciuti, ma vi accolga familiarmente nel  Regno…» (ivi).

Gesù risorto ci accompagna non riconosciuto, ma l’ospitalità va rivolta all’uomo ricevuto per quello che è: un essere come noi. Non conosciamo se e quale ricchezza scaturirà da questa accoglienza ma sappiamo che se essa non c’è null’altro potrà esserci. Il pellegrinare di Gesù accanto a noi nella storia ci spinge ad accogliere il nostro prossimo e ad ascoltarlo.

È così ma non è solo così. Emmaus ci dice anche altro. Tutto l’episodio trascorre da una presenza senza riconoscimento a un riconoscimento senza presenza, o meglio a una presenza che sta tutta nel riconoscimento, non nella vista. Gli occhi dei discepoli sono pieni di tenebre quando Gesù cammina al loro fianco (Lc 24,16); gli occhi si aprono solo un istante prima di quando Gesù sceglie di sottrarsi alla loro vista (Lc 24,31). L’incapacità dei discepoli si incontra con la volontà di Gesù risorto di apparire fugacemente senza essere stabilmente e visibilmente riconosciuto. Il Risorto è con noi ma non è nostro. Egli non si inscrive mai nella dimensione del possesso per consegnarci a quella della speranza: «Siamo stati salvati in speranza. Tuttavia la speranza che si vede non è speranza; chi infatti spera in ciò che vede?» (Rm 8,24).

In uno dei suoi celebri quadri della cena di Emmaus, Caravaggio è stato in grado di mostrare di spalle, in un modo che solo a lui è riuscito, l’apertura di occhi di un discepolo. Dipingendo non le pupille bensì l’aggrapparsi delle mani al bracciolo, il pittore riesce a comunicare la caduta dagli occhi delle squame interiori. Di fronte alla figura del discepolo  è però raffigurato il placido non vedere dell’oste; per lui tutto continua a scorrere come prima, nella successione dei giorni non è intervenuto alcun rinnovamento. Il fatto stesso di riconoscere il Risorto là dove altri non lo scorgono giustifica questo sottrarsi alla vista da parte di Gesù che ci nega il  possesso e ci consegna alla speranza più grande.

I due discepoli chiedono al pellegrino di fermarsi perché già cala la sera; tuttavia, appena lo riconobbero, si alzarono (verbo di risurrezione, anastantes) e in quella stessa ora si volsero indietro. L’aver riconosciuto Gesù consente loro di camminare nella notte verso Gerusalemme. Questo cammino nella fede non porta all’annuncio. Quando giungono nella città trovano gli Undici già radunati che dicono loro quanto i due avevano, a propria volta, in animo di annunciare: il Signore è risorto (Lc 24,34). Nella comunità della fede ci si comunica l’un l’altro quanto già si sa. Non è annuncio, è conferma nel credere. Non è vano camminare nella notte per comunicare una notizia già risaputa. Nella nostra comunità non siamo annunciatori, siamo coloro che hanno bisogno di essere riconfermati reciprocamente nella fede. Quale sia il modo lo svela la fine stessa della pericope: «ed essi narrarono loro quanto era avvenuto sulla via e in che modo lo riconobbero nella frazione del pane» (Lc 24,35). Qui è detta una triplice conferma.

Vi è la certezza che il cammino sia una via. Hodos  («via») nel lessico di Luca è parola alta che negli Atti degli apostoli indicherà i credenti qualificandoli come quelli della via. Nell’episodio di Emmaus è termine che compare solo dopo, nel ricordo dei discepoli o nel loro comunicare agli altri quanto è avvenuto (Lc 24, 32.35): «Non ardeva forse il nostro cuore mentre ci parlava per la via e ci apriva le Scritture?» (Lc 24,32). Il ricordo, fattosi testimonianza di una presenza, trasforma in via un cammino che si allontana con delusione da Gerusalemme. È grazia comprendere, dopo, che il nostro errare è stato, nella fede, tramutato in via.

«Ci apriva le Scritture». Per la via il pellegrino si fa ermeneuta di se stesso e iniziando da Mosè e dai profeti spiega loro quanto nelle Scritture era detto di lui (Lc 24,27). Più tardi, apparendo agli Undici e riferendosi a Mosè, ai Profeti e ai Salmi, Gesù apre le menti dei discepoli all’intelligenza delle Scritture (Lc 24,44-45). Quanto resta nel cuore ardente è la convinzione che per riconoscere Gesù Cristo morto e risorto  occorre riferirsi alle Scritture d’Israele: Mosè, Profeti, Salmi. Non si tratta di previsione, ma di intelligenza dischiusasi in virtù di quanto è avvenuto. Solo a partire dal Risorto che si fa ermeneuta si può cogliere quel senso. La presenza di Gesù Cristo è vista interna al cammino della Bibbia ebraica dopo, non prima. Alla luce della Pasqua le Scritture d’Israele divengono conferma della fede.

«Lo spezzare del pane». Anche qui Luca vuol esporre narrativamente il passaggio alla vita successiva della comunità dei credenti. Gesù stesso interpreta le Scritture; Gesù stesso spezza il pane così come sarebbe avvenuto a Gerusalemme nella prima comunità dei credenti: «Erano assidui nell’ascoltare  l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera […] Ogni giorno frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa…» (At 2,42.44; cf. At 20,7). L’atto di spezzare il pane è il momento di un riconoscimento e di una presenza che non si fa possesso; per tutti i credenti in Gesù Cristo, esso è luogo della conferma reciproca nella fede che si fa speranza in colui che ha voluto sottrarsi ai nostri occhi.

Piero Stefani

197 – Sulla via di Emmaus (23.03.08)ultima modifica: 2008-03-22T08:35:00+01:00da piero-stefani
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