190 – I giorni della memoria: fili e frammenti (03.02.08)

Il pensiero della settimana, n. 190

 

Il ricordo è il tentativo di restare aggrappati a quanto ci manca.

Fare memoria è un atto di per sé aperto anche sul versante negativo: l’odio trattiene nella memoria assai spesso più dell’amore.

«Perdono ma non dimentico» è un modo di dire in cui la seconda parte appare più sincera della prima, a motivo di una memoria effettivamente non libera dal rancore.

Il valore non sta nella memoria in sé, ma nei motivi che inducono a ricordare.

 

Nella vita ci sono alcune «esperienze spugna»: mentre le si vive le si assorbe velocemente, quasi senza accorgersene, ma poi restano dentro e nel corso del tempo rilasciano a poco a poco il loro liquido. Quanto le rende singolari è la differenza tra il tempo concentrato dell’assorbimento e quello lento del rilascio.

 

I ricordi, la memoria, possono essere un piedistallo o un macigno. L’importante è riuscire a metterli sotto i piedi e non sopra le spalle: nel primo caso si cresce, nel secondo se ne resta schiacciati.

 

L’oblio è l’arma con cui i vivi possono uccidere anche i morti e l’indifferenza è il modo in cui i vivi lasciano morire altri vivi.

 

Piccoli cimiteri di montagna: «Come si riposa in pace qui!». Quei cimiteri sono i luoghi in cui i vivi dicono che i morti lì riposano in pace. Quanto a questi ultimi non è facile immaginare che per loro faccia grande differenza trovarsi in quel campo oppure in un qualche loculo di una megastruttura cimiteriale.

 

Pluralismo interiore. «Fatti un cuore dalle molte stanze» (Toseftà, Sotà 7,12). Perché l’edilizia interna non conduca alla parcellizzazione, alla doppiezza, o, peggio, alla schizofrenia, bisogna aggiungere: «e dalla molte porte che le mettono in comunicazione».

 

Allorché ci si accorge quanto sono numerosi i fatti dimenticati nel corso della nostra vita, la memoria ci appare un contenitore troppo piccolo. Si vorrebbe applicare ad essa la storia del bimbo che vuole, con un secchiello, riversare il mare in un piccolo buco. Eppure quando, all’improvviso, riappare un frammento di esperienza, un volto o un nome, quel buchetto sembra trasformarsi in un pozzo senza fondo. Da Freud in poi la corda del secchio non ha mai smesso di allungarsi.

 

La memoria  personale ha sempre un suo spazio nella cassetta degli attrezzi di chi scrive. Ma, in genere, gli esiti sono tanto più alti quanto più la sua presenza è discreta e indiretta.

 

Fermare un pensiero sulla carta. Quando l’operazione è ben riuscita, non vuol dire arrestare un flusso; al contrario, equivale a rivestirlo di parole appropriate che lo rendono comunicabile. Fermare qui significa consegnare.

 

Portare, nell’accavallarsi di giorni concitati, qualche pensiero non banale nel proprio zaino interiore equivale a munirsi di scorte per il viaggio quotidiano nell’esistenza.

 

«Figlioli, ancora un poco sono con  voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così anche voi amatevi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Si comprende questa parola evangelica solo se la si considera un congedo. Il verbo è al passato – «come io ho amato voi» – non al presente. La novità del comandamento sta tutta in questa memoria. L’amore del prossimo è fondato sul presente («Io sono il Signore» Lv 19,18), mentre il comandamento di Gesù è basato su un congedo ed è conservato e trasmesso attraverso il ricordo.

È come un padre («Figlioli») che si distacca dalla  vita e affida la propria eredità, e quindi la propria presenza, all’amore reciproco tra  i suoi figli. Se i fratelli si amano, il padre sa di non aver vissuto invano; se gli eredi si odiano e litigano il suo amore per loro viene, di fatto, negato.

Piero Stefani

190 – I giorni della memoria: fili e frammenti (03.02.08)ultima modifica: 2008-02-02T09:10:00+01:00da piero-stefani
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