Il pensiero della settimana n. 118
Negli ultimi decenni si sono moltiplicati un po’ ovunque i dialoghi e gli incontri fra credenti e non credenti, tra persone di fede e laici. Germinarono potenti sulla scia del Vaticano II. Il clima conciliare favorì allora un’inedita apertura. In quella stagione si credeva di poter collaborare in modo concorde per la promozione umana. Passò il tempo e diminuì la fiducia nell’avvenire. Non si pensò più al «supplemento d’anima» come contributo specifico all’impegno comune. A poco a poco prevalse l’idea di porsi in ascolto delle inquietudini del pensiero moderno. L’evangelo non può dare risposte se coloro che lo professano non potenziano il loro udito nei confronti delle altre persone. L’iniziativa che ha meglio espresso lo spirito tipico di questa seconda fase è stata la «cattedra dei non credenti» istituita da card. Martini; modello ripreso, in maniera più o meno vivace o scolorita, anche in altri luoghi.
In Europa, fino all’ultimo scorcio del XIX sec., le manifestazioni di piazza furono appannaggio della componente progressista: conservatori e reazionari avevano altri mezzi per operare. Allo scadere dell’Ottocento si registrò un mutamento: anche la destra iniziò a mobilitarsi e ad entrare nell’arengo della manifestazioni di piazza. Su scala ridotta una dinamica paragonabile sembra valere anche per il dialogo tra credenti e laici: a lungo gestito dall’ala più aperta, nell’ultimo periodo è diventato riserva di caccia della componente moderata o tradizionalista. In questo contesto «radici» e «valori» la fanno da padroni. Il contratto nuziale del nuovo connubio è rintracciabile nella comune lotta contro l’imperante relativismo soggettivista, presentato come il nuovo emblema della sinistra libertaria (Galli della Loggia). Occorre perciò tirare un croce sopra la lunga stagione dei «cattocomunisti», quando la testa di ponte del dialogo era costituta dal comune impegno a favore della giustizia sociale. Il dialogo ha mutato fronte. È trascorso il tempo sia di impegni comuni in vista della costruzione di una società più giusta sia di ascolto di laiche inquietudini. Piuttosto sono i laici che combattono con nobile caparbietà in difesa di valori non negoziabili a dover prestare ascolto alle inconcusse certezze etiche dei credenti.
In tutta questa ricostruzione manca un particolare fondamentale: il mutamento dei soggetti che compiono il dialogo verso l’esterno è andato di pari passo con il rinsecchirsi della pianta, per costituzione sempre un po’ gracile, del dialogo interno alla chiesa. La spia più palese del tramonto dell’era conciliare è la mancanza di ogni autentico confronto all’interno della comunità ecclesiale. La gerarchia da tempo, in pratica, non ascolta più i fedeli (siano essi clerici o laici). Questi ultimi a loro volta si sono abituati o ad applaudire sempre o comunque ad approvare di facciata e a parlare male nei corridoi per poi agire come meglio si crede. Se ora in buona parte il dialogo con i laici è fatto dai conservatori ciò avviene perché dentro la comunità ecclesiale italiana si è messo il silenziatore (o peggio) a ogni voce inquieta. Ostracizzando il confronto, ostacolando il libero scambio delle idee, colpevolizzando il parlare franco si è legittimato il mugugno e favorita la crescita impetuosa di un servilismo interessato.
Una maniera inedita di procacciarsi i favori della gerarchia è diventata la scelta di dialogare con i laici sui «valori». Con questi chiari di luna spesso quanto sta a cuore, più che il confronto, è il riflesso interno che ne deriva. Se non proprio un modo per far carriera, il dialogo con i non credenti, diventati nel frattempo devoti, è, troppo di frequente, una maniera per alimentare la considerazione di cui si gode presso la gerarchia e per accreditarsi come portavoce ufficiosi delle posizioni magisteriali.
Enzo Bianchi nel suo recente pamphlet La differenza cristiana riporta una singolare frase di Pio XII risalente al 1950. Papa Pacelli, dopo aver esaltato il ruolo dell’opinione pubblica nella società, aggiunse che «anche in seno alla chiesa… mancherebbe …qualcosa di vitale se l’opinione ecclesiale mancasse, e questo sarebbe un difetto che ricadrebbe sui pastori e sui fedeli». In verità la chiesa preconciliare appariva mettere in pratica assai poco la direttiva. La diagnosi risulta comunque esatta. Oggi il compito peculiare del cattolico credente che ha davvero a cuore la cultura del dialogo è più che mai affidato al tentativo di far crescere l’«opinione ecclesiale». Prima di far ciò il fedele deve però mettere in conto che, quasi sicuramente, gli toccherà pagare di persona.
Piero Stefani
Postscriptum Non so come andrà a finire il referendum, prevedo un’affluenza molto bassa e una vittoria risicata dei no. In ogni caso sarà una sconfitta. Infatti l’esito, qualunque sia, sarà, per la massima parte, frutto di una partecipazione senza passione guidata dalla politicizzazione del voto, vale a dire dall’appartenenza all’uno o all’altro schieramento. È come se in una partita a scacchi la vittoria dell’uno o dell’altro giocatore avesse un ruolo più costitutivo e duraturo delle regole permanenti (anche se non eterne) che consentono ai due contendenti di giocare e rigiocare. D’altra parte il confronto tra la campagna elettorale per le politiche e quella referendaria è impietoso e in ogni caso tale da mettere a nudo i temi che stanno per davvero a cuore ai nostri politici.