77 – I petrolieri devoti (11.09.05)

Il pensiero della settimana, n.77

 

Il secolo XX, sia o non sia stato breve, ha posto nella sua prima parte al centro il tema della giustizia sociale. La questione ha avuto risposte impazzite, atroci e smentite brutali. Costituiva però un lessico comune: anche Hitler usò la parola socialismo, sia pur corretta dall’aggettivo «nazional». Quanto da sempre era apparso un dato inestirpabile, l’esistenza di poveri e di ricchi, doveva ora essere spiegato e, almeno parzialmente, modificato. Non era più semplicemente considerato far parte della natura delle cose al pari del fatto che esistono climi secchi, umidi, caldi, freddi o temperati. La giustizia ha una compagna che mai l’abbandona: la denuncia dell’ingiustizia. L’esistente perciò non coincide con il giusto. La scelta di lasciar che le cose marcino sui propri piedi non porta di per sé all’ordine migliore. Partendo da questi convincimenti fu perciò messa in discussione l’assoluta fiducia liberale nella iniziativa privata e la convinzione che l’equa distribuzione dei redditi  derivasse solo dalle leggi del mercato.

Preso atto che la rifondazione rivoluzionaria di un ordine nuovo sfociava in esiti terribili, ci si orientò verso un progresso graduale. Si ritenne allora che il soggetto in grado di contribuire a una più equa distribuzione delle risorse fosse lo stato. Esso doveva attuare una politica fiscale fortemente progressiva che consentisse la raccolta di un gettito sufficiente per erogare, a basso costo, i servizi ritenuti socialmente indispensabili. Lo stato doveva inoltre intervenire nel campo economico al fine di assicurare il pieno impiego e di tutelare le fasce socialmente più deboli attraverso sussidi e pensioni. Tutto ciò implicava alcune precondizioni: occorreva che  continuasse lo sviluppo, bisognava che  la  gente lavorasse più per il benessere della società che per l’utile personale, era necessario che gli individui avessero una concezione dello stato più alta da quelli di considerarlo, in primis, una vacca da mungere. A cominciare dagli anni Settanta, in modi e tempi diversi a secondo delle aree geografiche, le condizioni appena elencate subirono un tracollo. Lo sviluppo ristagnava, il senso di solidarietà lasciava sempre più il posto al ritorno al privato e i buchi nei bilanci statali divennero voragini senza fondo. Per rilanciare lo sviluppo occorreva rivolgersi di nuovo alle leggi liberali del mercato. Lo stato doveva perciò alleggerirsi di molte competenze, più o meno indebite, per riconsegnarle ai privati.

In concomitanza con le difficoltà dallo sviluppo ci si rese conto che anche questa parola magica aveva un suo rovescio: lo sfruttamento indiscriminato della natura aveva delle ricadute negative sull’uomo. Erompeva il problema ecologico.  L’attività umana è in grado di avvelenare la terra, di inquinare le acque, di ammorbare l’aria, di crivellare l’atmosfera, di surriscaldare il pianeta, di esaurire le risorse naturali, di provocare mutamenti climatici. Bisognava  proseguire a parlare di sviluppo, tuttavia il sostantivo doveva essere accompagnato da un aggettivo qualificante: «sostenibile». L’esigenza la si potrebbe trascrivere in questi termini:  l’ideale della giustizia tra gli uomini espresso con la vecchia (e tautologica) massima di Ulpiano «a ciascuno il suo» va esteso anche agli altri viventi, alla terra, all’acqua, all’aria.

L’attuale amministrazione statunitense ha ai propri vertici alcuni «petrolieri devoti» (presidente, vicepresidente, segretario di stato hanno avuto tutti a che fare con il petrolio). Per essa entrambe le istanze emerse nel XX secolo contano assai poco. Non è compito dello stato promuovere lo sviluppo e la giustizia sociale. I suoi scopi principali sono altri: emanare leggi che garantiscono l’ordine e la moralità pubblica e difendersi nei confronti dei nemici interni ed esterni. La componente repressiva diviene quindi parte preponderante della politica interna (si veda, per esempio, la crescita pletorica del sistema e della popolazione carcerarie) e di quella internazionale (la guerra). I lavori pubblici, la previdenza sociale, la tutela della salute, l’attenuazione delle differenze tra le classi  e così via sono tutte realtà che andavano bene all’epoca del New Deal. Quanto ai problemi ecologici essi sono considerati in gran parte inesistenti. Il buco dell’ozono è una balla, lo stesso può dirsi per  i mutamenti climatici. Il protocollo di Kyoto va considerato carta straccia.

Su questo scenario si staglia la catastrofe di New Orleans. Le grandi acque hanno travolto la città di molti neri  poveri (con redditi da terzo mondo) e di pochi ricchi e hanno sommerso la metropoli lambita dal Mississippi, di cui non valeva la pena rafforzare gli argini con tanto esborso di denaro pubblico. La risposta all’inondazione sulle prime è stata in pratica la seguente: arrangiatevi e salvatevi. Vale a dire si sono ribadite alla lettera le sperequazioni sociali. Poi la macchina dei soccorsi si è messa lentamente in moto. Restava però la solita priorità: la tutela dell’ordine. Si poteva sparare a vista e occorreva erigere al più presto delle piccole Guantanamo costruendo recinti in cui rinchiudere i saccheggiatori. In una società sconvolta da cima a fondo la presenza del pubblico più che nella solidarietà si faceva di nuovo visibile  nella componente repressiva.

La riedificazione di una città diviene per gli USA una sfida per attuare una rigenerazione dell’ethos pubblico e per recuperare il senso di una giustizia estesa a uomini, viventi e cose. Sarebbe auspicabile che alla prossima riunione di governo di «petrolieri devoti» familiari con la Bibbia si leggesse l’incipit del libro delle Lamentazioni di Geremia. Si dovrebbe pensare però a una città diversa da Gerusalemme. Per cuori penitenti la trasposizione del significato originario del testo biblico a un 11 settembre fatto d’acqua, d’incuria e di mancanza di giustizia sociale non sarebbe illegittimo:

Ah! Come sta solitaria

la città un tempo ricca di popolo!

È divenuta come una vedova,

la grande fra le genti […];

Essa piange amaramente nella notte,

le sue lacrime scendono sulle guance;

nessuno le reca conforto,

fra tutti i suoi amanti;

tutti i suoi amici l’hanno tradita

Lam 1,1-2

Piero Stefani

 

77 – I petrolieri devoti (11.09.05)ultima modifica: 2005-09-10T09:20:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo