76 – Più riannodabile che indissolubile (04.09.05)

Il pensiero della settimana n.76

 

Vi è una particolare forza negli eventi che avvengono una sola volta. Essi sono spartiacque assoluti che sanciscono un prima e un dopo che ignora ripensamenti. Nessuno di noi ha, per definizione, esperienza delle due realtà che, per ogni vivente, sono davvero irripetibili: la nascita e la morte. Tutti siamo nati ma nessuno ne conserva una memoria consapevole. La vita nell’utero materno e il  venire alla luce non sono replicabili per il semplice fatto di essere precondizioni assolute perché esperienza si dia. Quanto al morire esso è posto al di là delle nostre attuali possibilità di esperirlo: quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo noi (Epicuro).

Questa struttura dell’esistenza  attribuisce una posizione estrema a tutto quello che, nella vita, pretende di essere unico e irripetibile. Il sole sorge ogni mattina e tramonta ogni sera e i mortali quotidianamente si svegliano, mangiano, bevono, evacuano, lavorano. Senza questi atti ripetuti l’esistenza umana semplicemente non sarebbe. Anche la vita spirituale vuole la ripetizione: non si prega una volta per tutte, solo nella reiterazione si misura la fedeltà della lode e della supplica: «dacci oggi il nostro pane quotidiano».  È vero, si dice anche «venga il tuo regno». Lo si ripete ogni giorno. Eppure in senso pieno il regno verrà una volta sola: appunto per questo esso si colloca al di là dell’ordine  proprio alla nostra attuale esistenza.

Le realtà che mentre capitano  hanno la pretesa di essere irripetibili sono spesso presentate secondo l’immagine della nascita. Non è difficile comprendere perché ciò avvenga. Tuttavia, collocandosi nel corso della vita e non nella sua origine prima, è difficile rimanere all’altezza di questa qualifica. Per le Chiese cristiane l’esemplificazione più immediata è costituita dal battesimo. Esso avviene una volta sola ed è prospettato come una vera e propria nascita. In quanto punto di inizio ciò non produrrebbe alcun problema. Il fatto è che il battesimo è stato presentato anche come risposta a quanto lo precede: il peccato. Esso cancella la colpa, sia quella originale sia tutte le altre. A questo punto si dischiude la porta della reiterazione. I peccati sono cancellati una volta per tutte, ma i battezzati non sono posti nelle condizioni di non peccare. Questo problema fu colto in modo drammatico nei primi secoli cristiani. Poi prevalse la logica esistenziale  della ripetizione. Si peccava ma ci si poteva pentire. Si faceva il fermo proponimento di non peccare più ma poi si cadeva di nuovo nella colpa a cui si era in grado di rispondere con un rinnovato pentimento. Non si tratta di una fatica di Sisifo, ma di un terreno da solcare e risolcare tenendo conto della nostra debolezza, della capacità di pentimento del nostro cuore e della misericordia che lo deve abitare: se tuo fratello «pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai» (Lc 17,4).

Nella prassi cattolica vi è un’altra realtà presentata come irripetibile: il matrimonio. Si tratta però di un evento che si  situa inevitabilmente nel cuore della vita e non in uno dei suoi estremi: l’iniziale o il terminale. La percezione di questa collocazione la si coglie agevolmente pensando che la morte di uno dei coniugi scioglie le nozze: in tal caso non c’è alcun divieto canonico che impedisce di risposarsi. L’indissolubilità del matrimonio è richiesta esigente che non di rado entra in urto con gli avvenimenti che possono capitare nella reiterazione esistenziale. Quando a Gesù fu posto il problema del perché la Torà (dunque una legge considerata da lui e dai suoi interlocutori di origine divina) prevedeva il libello del ripudio, egli disse che questo fu dato per la durezza del nostro cuore (sklērokardia), ma  all’inizio della creazione non era così (Mc  10,5). Matteo però fa seguire a questa affermazione una prima attenuazione la quale afferma che, a certe condizioni, il vincolo è di fatto sciolto (cfr. Mt  19,8 ). La questione vera non è di ordine canonistico, attiene l’antropologia. La domanda a cui bisogna rispondere è se il cuore dei battezzati è tornato a essere quello del principio o continua a essere duro. Se è vera la seconda alternativa la prassi della ripetizione deve avere un suo spazio. 

Per salvare un legame ci possono essere due vie. La prima afferma che si tratta di un nesso indissolubile. Affermazione di principio che non sa come collocare gli strappi che avvengono nel corso del tempo. L’altra  sostiene che è riannodabile. Quest’ultima alternativa sa che possono avvenire scissioni, tuttavia non si rassegna a priori ad affermare che esse abbiano partita vinta. Ciò non significa che gli strappi avvenuti e ricuciti non lascino il segno. È vero il contrario, eppure si può indossare con dignità anche un vestito con delle pezze. Quella di riannodare è una logica più umile, ma anche esistenzialmente più vera. Non si è di fronte ad alcuna indulgenza preventiva: pentimento e perdono sono le realtà più preziose, e quindi costose, della vita. Non si tratta neppure di una panacea. A un certo punto i fili possono risultare davvero lacerati. Questa posizione afferma però una diversa antropologia che avrebbe più di una cosa da dire anche nel caso di un ricominciare che si attua all’interno di un diverso legame.

La pastorale dei divorziati risposati è un tema che  la Chiesa cattolica sa di dover affrontare, eppure non sa come farlo. Questo impasse è in larga misura frutto di pesi autoimposti. Eloquenti in proposito sono alcune parole informali pronunciate a luglio  da Benedetto XVI in un suo incontro con il clero di Aosta. Di fronte a questo problema il papa ha detto che si tratta di situazioni dolorose, specie quando i coniugi scoprono la fede nel secondo matrimonio dopo aver contratto sacralmente il primo solo per tradizione. Da prefetto della Dottrina della fede Ratzinger pensava di aver trovato una soluzione. Essa affermava in sostanza: il primo matrimonio può dirsi  non valido perché non contratto per vera fede. La commissione di canonisti da lui costituita gli  disse che le cose non erano così semplici. Divenuto papa, Ratzinger non ha quindi altra risposta che quella che invita a farsi carico della sofferenza di quei coniugi. Indicazione nobile ma anche reticente nel rispondere alla questione cruciale: quale cuore hanno i credenti? Qui non si tratta di indulgenza preventiva e tanto meno di svendita del senso alto del sacramento di un matrimonio. Si è  davanti a un tema ancor più alto e decisivo per il messaggio evangelico: quello della misericordia.

 Piero Stefani

76 – Più riannodabile che indissolubile (04.09.05)ultima modifica: 2005-09-04T09:25:00+02:00da piero-stefani
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