61 – Nunc dimittis (10.04.05)

Il pensiero della settimana n. 61 

Il vecchio Simeone attendeva. Tutta la sua grandezza spirituale stava nella capacità di aspettare anche da vecchio. Non era in attesa della morte. Il suo orizzonte non si era ristretto sempre più alla propria persona come spesso, dolorosamente, avviene alle persone molto anziane. L’oggetto della sua speranza era la consolazione di Gerusalemme (Lc 2,25; cfr. Is 40,1). La forza che rendeva il suo animo aperto al futuro era la promessa dello Spirito, secondo la quale non sarebbe morto prima di aver veduto il Messia: di vederlo non già di celebrare la pienezza dei suoi giorni. Simeone è come Mosè che scorge la terra promessa ma non vi entra (Dt  34,4). Tutto in lui però ugualmente si compie, in quanto nel suo congedarsi Simeone indica nel bambino il Messia e ne profetizza l’azione (Lc 2,34-35). La sua missione sta nell’additare l’avvenire, quello che ancora non c’è ma che lui vive come se fosse già presente. Per  questo può congedarsi in pace dalla vita (Lc 2,29-32).

Nella pietà cristiana il breve cantico di Simeone (il Nunc dimittis) è stato reinterpretato soprattutto come espressione della disponibilità individuale di accogliere con serenità  la morte in conformità alla volontà di Dio. In modo più specifico esso suggella un’accettazione contraddistinta dal senso di aver compiuto quanto ci era stato richiesto di fare: «Ho portato a termine il compito che mi hai affidato, ora puoi congedarmi e questo transito verrà per me all’insegna della pace». Tuttavia, come afferma un grande detto rabbinico, non sta a te completare l’opera ma non per questo sei autorizzato a esimertene (Pirqè Avot  II,21). Tutti alla fine della loro esistenza dovrebbero riconoscersi «servi inutili» non all’altezza di quanto è stato loro richiesto. Per un credente la completezza sta sempre nell’avvenire.

Nel corso della più classica pratica cattolica di riflessione sulla morte, gli esercizi spirituali, Giovanni Paolo II, nel lungo periodo che va dal 1979 al 2000, ha scritto e integrato il proprio testamento. Per una valutazione del suo pontificato i passi decisivi sono quelli vergati nell’anno giubilare. È in essi che ci si richiama al Nunc dimittis. Quelle aggiunte, aperte alla storia universale, sono dominate da una enorme presenza: la Polonia. La speranza del «biblico Simeone» è ebraica, quella di papa Wojtyła è polacca fin dalle sue intime fibre. La successione del paragrafo parla di per sé. Essa è dominata dall’ombra di una figura divenuta voce imperativa: il card. Stefan Wyszynski, il primate del Millennio. Il giorno della nomina del suo più giovane conterraneo, gli disse: «il compito del nuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio». Quando si evoca la parola Millennio, lo si espliciti o no, occorre aver sempre in mente che esso va completato con un genitivo: «della redenzione». Ciò esige che la salvezza, già avvenuta, lasci solchi visibili in una storia misurabile secondo la scansione degli anni, dei secoli e dei millenni. A essa è applicabile quanto si dice a proposito del cavallo bianco dell’Apocalisse «egli uscì vittorioso per vincere ancora» (Ap 6,2). «La vittoria» però «quando verrà sarà una vittoria mediante Maria», parole del predecessore di Wyszynski, card. August Hlond.

La frase del «primate del Millennio» è stata assunta  come una chiamata. L’enfasi simmetrica posta da Giovanni Paolo II sul Grande Giubileo della redenzione (la cui preparazione è da ritenersi, secondo le parole dello stesso papa, chiave ermeneutica per comprendere il suo pontificato) e sull’intervento diretto della Provvidenza grazie al quale il piombo dell’attentatore non ebbe esiti fatali, si spiega su questo sfondo. Qui la cronologia va presa sul serio: se Giovanni Paolo II fosse morto nel 1981 non gli sarebbe stato possibile giungere al 2000, vale a dire egli non avrebbe potuto portare a termine la propria missione. «A misura che l’Anno Giubilare 2000 va avanti, di giorno in giorno si chiude dietro di noi il secolo ventesimo e si apre il secolo ventunesimo. Secondo i disegni della Provvidenza mi è stato dato di vivere nel difficile secolo che se ne sta andando nel passato, e ora nell’anno in cui l’età della mia vita giunge agli ottanta (“octogesima adveniens”), bisogna domandarsi se non sia il tempo di ripetere con il biblico Simeone “Nunc dimittis”». Mai prima del duemila il papa avrebbe potuto scrivere: «Nunc dimittis». Questa impossibilità implica che quanto da lui atteso era un tempo, non un evento (come fu per Simeone); da qui l’inaudita importanza assegnata all’atto di contare gli anni, i secoli e i millenni.

Eppure nella storia deve pur avvenire qualcosa che giustifichi il prepararsi a una «plenitudo temporis»: «Dall’autunno dell’anno 1989 questa situazione è cambiata. L’ultimo decennio del secolo passato è stato libero dalle precedenti tensioni; ciò non significa che non abbia portato con sé nuovi problemi e difficoltà. In modo particolare sia lode alla Provvidenza Divina per questo, che il periodo della così detta “guerra fredda”” è finito senza il violento conflitto nucleare, di cui pesava sul mondo il pericolo nel periodo precedente». Negli anni novanta vi era già stata la  guerra del Golfo e quelle della ex Yugoslavia (con la correlata giustificazione papale dell’«ingerenza umanitaria») per tacere della Cecenia e di molto altro che stava avvenendo nell’area ex-sovietica. Già allora si vedeva come la caduta dell’equilibrio del terrore avrebbe portato al proliferare di guerre locali. Tuttavia la prima parte del testamento è fosca nella descrizione degli anni ottanta, mentre quella posta alle soglie del Terzo Millennio è percorsa dalla volontà di vedere all’opera nella storia la presenza della vittoria di Maria: la caduta dei regimi comunisti.

Non ci sono aggiunte ulteriori. Negli esercizi spirituali della quaresima del 2002 nulla è stato scritto. In effetti se il secolo XXI si apre con l’11 settembre del 2001 il Grande Giubileo passa in secondo piano. Il Nunc dimittis scritto nel marzo del 2000  segna  la cessazione del progetto storico-spirituale di Giovanni Paolo II. Non a  caso egli affida ormai al suo successore un altro compito, quello pastorale di applicare i dettami conciliari: «Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo». L’incompiuto è percepito presente all’interno della  vita della Chiesa. Dopo il 2000 è stata la storia a portare il papa al centro della ribalta mondiale, soprattutto  nei mesi che vanno dall’autunno del 2001 alle primavera del 2002. Era la stagione  di un kairòs in cui si poteva convocare in unità le chiese cristiane nel segno della pace. Quel tempo opportuno non è stato colto. Da allora in poi la missione di Giovanni Paolo II sarebbe stata sempre più contraddistinta dalla passività del patire e del morire: nell’ambito della vita spirituale le realtà più drammatiche e grandi dell’esistenza umana.

Piero Stefani

 

61 – Nunc dimittis (10.04.05)ultima modifica: 2005-04-09T10:40:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo