27 – Il discorso di Pentecoste (30.05.04)

Il pensiero della settimana n. 27

 

A Pentecoste dopo l’effusione dello Spirito, dopo il miracolo delle lingue vi è il lungo discorso di Pietro (At 2,14-36). Sono parole elaborate, piene di attualizzazioni di passi biblici. Nulla di più lontano della glossolalia, il carisma di parlare lingue. L’interprete qui si assume la responsabilità di costruire un procedere argomentativo. Questi passi contengono anche  violenti rimproveri che  stridono a molti degli orecchi dei moderni dialoganti. In essi sembra emergere l’accusa fatidica di «deicidio». L’unica tra quelle mosse dai cristiani contro gli ebrei che tutti sembrano conoscere (che in realtà non si sa neppure bene quando è sorta ed è comunque estranea al  Nuovo Testamento). La Pentecoste,  giorno di nascita della Chiesa, sembra in tal modo coincidere con la frattura più irrimediabile tra cristiani ed ebrei. 

Le cose non stanno così. Per comprenderlo basta pensare che Pietro parla da ebreo ad altri ebrei provenienti sia dalla Giudea sia dalla diaspora. Il fatto che il Nuovo Testamento conosce un ebreo che annuncia il vangelo ad altri ebrei è dato indiscutibile e fondamentale; ma per comprenderlo occorre aggiungere che  gli scritti neotestamentari non prevedono mai un gentile – vale a dire un non ebreo – che annuncia il vangelo a un ebreo. Non si tratta di una differenza da poco. Non vi è nulla di più anacronistico che parlare di ebrei e cristiani nel giorno di Pentecoste.

Pietro dice ai suoi ascoltatori che essi hanno consegnato Gesù facendolo inchiodare alla croce per mano dei senza legge (così alla lettera), vale a dire dei romani (come noto la croce è pena romana non ebraica). La responsabilità è detta in modo esplicito. Gli Atti degli apostoli non sono rigorose ricostruzioni storiche; perciò ipotetiche analisi storiche (per tacere di dilaganti proiezioni cinematografiche) nulla hanno da spartire con questi passi. Essi non ci dicono come sono andate le cose. Il loro scopo è di situare  il discorso in un contesto intragiudaico per affermare una verità generale che qui è rivestita di una forza unica ed irripetibile: solo l’ammissione della colpa può portare al pentimento e al perdono. La morte di Gesù è detta per annunciarne la resurrezione; la colpa è additata per condurre al pentimento e al perdono. In questo l’annuncio evangelico non segna alcuna rottura con l’intera tradizione biblica.

La Pentecoste, il dono dello Spirito frutto della morte e resurrezione di Gesù, è l’unico promontorio che consente ai credenti di predicare la croce del loro Messia con fermezza, ma senza arroganza, indicando che nessuno è senza colpa ma che, a maggior ragione, nessuno è escluso dalla misericordia di Dio.

Piero Stefani

 

 

 

27 – Il discorso di Pentecoste (30.05.04)ultima modifica: 2004-05-29T11:30:00+02:00da piero-stefani
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